lunedì 13 agosto 2012

QUEL BRUSIO DELLA NOTTE



Lunedi 13 agosto ore 03.40 del mattino.
L’abbaiare prolungato prolungato dei cani mi ha svegliato, e dopo 2 ore che lotto contro questo caldo dal nome mitologico i miei pensieri volano di nuovo a quella che è stato un tempo la mia vita.
Questa volta la mia gioventù fa capolino nel mio girarmi e rigirarmi, tra lenzuola e cuscino. Ero un ragazzo non ancora maggiorenne e da molto tempo la mia vita era autonoma, nel senso che mi alzavo , andavo a lavorare, tornavo per il pranzo, uscivo di nuovo con la mia chitarra, andavo a una scuola serale ( quando me ne ricordavo ) e dopo volavo di corsa in cantina,dove incontravo la mia Band, e quando erano le 1.00 o le 2.00 tornavo a casa. Avevo le chiavi per entrare sia nel portone sia per  entrare dove vivevo con i miei e con mio fratello. Come logica conseguenza, anche le vacanze erano da tempo diventae autonome, ormai era finito il tempo in cui andavo in vacanza per 2 o 3 mesi  al paese con mia madre,  e quindi niente più corse nei prati nè sfrenate volate in bicicletta, per le strette vie del paese. Con gli amici della Band si passava da Rimini a Torvajanica, una piccola località sul litorale romano, dove avevamo tanti amici di vecchia data,  e di sicuro qualche ex dell’anno precedente che di nuovo si sarebbe interessata di me.
Tra questo andare e venire riuscivo a fermarmi qualche giorno a casa insieme a mio padre,  che aspettava il solito periodo di ferie  per potersi aggregare alla famiglia in montagna.
 Insomma, vita bella e spensierata, mio padre fuori tutto il giorno e io , di solito,  tutta la notte. Eppure i miei tormenti venivano a galla  proprio quando ero solo in casa, quando mio padre a volte non si ritirava, e chissà dov’era…o meglio io sapevo dove stava, ma questo, per i grandi, io  non dovevo saperlo, perché  per i genitori  i ragazzi non pensano mai certe cose, secondo loro i ragazzi si divertono,  hanno sempre mille cose da fare, dopotutto a cos’altro debbono pensare? Sono ragazzi e quindi……
Quelle notti passate da solo in casa, mi facevano scoprire le tante cose che nelle famiglie di quei tempi si facevano, ovvero mangiare a tavola, vedere la televisione, e coricarsi a un’ora decente.
Il letto sfatto della mattina precedente, era intatto, con le stesse vallate e il cuscino nella stessa posizione innaturale in cui lo avevi lasciato, davi una sistemata al volo e via… buonanotte.
 Il caldo, lo stesso caldo di tutte le estati, di tutti gli anni da me vissuti,  non ti permetteva di dormire, ti alzavi, il gatto sulla poltrona apriva un occhio, probabilmente disturbato dalla luce, ti dirigevi verso il frigo, aprivi,come per vedere che novità ci fossero, richiudevi, poi  aprivi di nuovo,e decidevi di mangiarti una mela. Terminato il piccolo pasto, riprovavi a sdraiarti, e vuoi la mela vuoi il caldo iniziava la mia notte di tormenti, la temperatura scongelava i miei ricordi, e nel liquefarsi dei miei pensieri si sentiva un brusio che man mano distinguevi in un chiacchiericcio proveniente dal  giardino del palazzo.
Io abitavo in uno stabile di Roma soprannominato “ il Palazzone”: una costruzione con 11 0 12 scale di condominio, 250 famiglie insediate,  e  un grande cortile interno che copriva 5000 metri quadri. Il tutto ombreggiato da grandi pini ed  enormi magnolie che arrivavano a superare il palazzo di 7 piani . Era tutto ben curato dai vari portieri, che all’epoca fungevano da giardinieri, addetti alle pulizie delle varie scale, nonché  vigili  guardiani di un giardino dove non era permesso a nessuno di entrare, se non ai residenti.
Nel mese di agosto le abitazioni si svuotavano,quella era la vera estate romana per chi restava in città,o almeno lo era per me:  niente rumori,  nessun pianto di neonato , nulla, insomma,  che potesse sembrare un rumore di stoviglie, si sentiva solo il vociferare di poche persone che almeno di vista conoscevi, qualche amico d’infanzia, e giovani di generazioni precedenti , gli amici di mio fratello. A quel punto davi un calcio al caldo e uno ai tormenti, ti vestivi e scendevi in giardino. Ciao Tiberio, ciao Pino , ciao Tamara,  e improvviso sentivi dire “ciao Pinuccio,tuo fratello è in ferie? “ “Ciao, si è fuori con la mamma.”
 Il saluto di un amico di mio fratello era motivo di orgoglio da parte mia, in genere tra generazioni diverse esisteva una sorta di razzismo da parte dei più grandi, che  consideravano dei ragazzini chi aveva 6 o 7 anni meno di loro , e ai quali non si poteva dare il saluto, tuttalpiù si poteva dare uno sbruffetto scherzoso se proprio il ragazzino ti salutava.
Ma quella che sembrava un’entrata nel mondo dei più grandi, il giorno dopo aver cantato insieme e aver riso tutta la notte come due coetanei, tutto tornava di nuovo come prima , con la differenza che se  ti incontravano sullo stesso marciapiede, cambiavano direzione.
Loro,  i grandi, non si confondevano con i ragazzini con i capelli lunghi e la chitarra a tracolla , eppure io alla mia età avevo già vissuto due volte la loro pur giovane vita, se penso che mio fratello non aveva neanche le chiavi di casa; tanto a cosa gli servivano…In quelle serate in giardino tutti cercavano compagnia, insomma  un amico col quale parlare perchè si era veramente in pochi…Il 90xcento delle persone era fuori citta,  e quel silenzio notturno ti faceva sentire anche più solo, ma certamente nei primi anni 70 la gente non pensava al suicidio per solitudine.
Quella solitudine che oggi,  nonostante le feste di quartiere o  le serate danzanti organizzate un po’  ovunque , colpisce tante persone le quali tentano di evadere la solitudine con un gesto inconsulto. Terminato di suonare e di spettegolare, ci si avviava finalmente a casa, lo sbadiglio sulla porta d’ingresso faceva coppia con quello del gatto che , affaciatosi nel corridoio di casa  per vedere se fossero  rientrati i padroni, e guardandomi con noncuranza,  sembrava dicesse…”ah sei tu,beh  buonanotte”….si  accoccolava di nuovo e sogni d’oro.
Il caldo non cessava e riapparivanOi i miei tormenti.  tra il dormiveglia mi sembrava di sentire i tacchi di scarpe che battevano il pavimento incerato,  il rumore di vestiti che si battevano tra di loro e poi il tonfo secco attutito da una vestaglia di donna, il tonfo sul pavimento, accompagnato da ingiurie dette silenziosamente, parole dure , decise, parole quasi sussurate e strozzate da un’accento di cattiveria, tutto questo perchè noi ragazzini non dovevamo sentire, e non dovevamo sapere oltre  quella porta chiusa cosa accadesse , come se il preambolo precedente la nostra ritirata obbligata in camera non ci avesse fatto intuire quella che sarebbe stata l’ennesima lite tra di loro, che puntualmente finiva in dramma di gelosia, come una soap opera  già vista, con un copione sempre uguale…io che piangevo e mio fratello che mi rimproverava, facendomi segno di stare zitto,  il giorno dopo nuovo episodio stesso finale.
Vigliaccamente  e incapace di affrontare questo clima, ho vissuto più tempo fuori casa che dentro,  e non ricordo di aver cantato mai….quella carezza della sera…….troppi dolori su quelle mani indolenzite e colpevoli, troppo veleno su quella bocca per poterti dare il bacio della buona notte.
Quando al mattino dopo la nottataccia passata  ti alzavi, non vedevi l’ora di uscire da tutti quei ricordi dell’infanzia. Sul tavolo lasciavi un biglietto scritto…Baffo,  vado da mio cugino a Torvajanica, ci risentiamo P:S. il gatto ha mangiato.
Aprivo la porta che con rabbia richiudevo dietro me, pronto a partire per dove avrei trovato una bocca e una carezza, disposta a curarti le ferite e,se non la trovavi ad aspettarti, pazienza… ne avresti trovata un’altra, come una prescrizione medica mi curavo le ferite con i medicinali che la vita mi offriva. Ma questo a quel tempo io non lo sapevo, mi consola il fatto di non essere stato il solo a vivere queste esperienze traumatiche, ma ho visto tante madri abbracciare i figli per farsi coraggio, ma mia madre non ha mai avuto paura. Io si ne avevo ,e mi sono abbracciato da solo, e quando tutto questo non mi bastava abbracciavo la mia chitarra, la quale senza seguire uno spartito iniziava a suonare il suo lamento, in questo  dialogo tra me e lei non mi sentivo più solo. Come dice Paolo Conte……… si nasce e si muore soli, certo che in mezzo c’è un bel traffico……credo che questo aforisna sia giusto,ma vorrei se possibile fare un’eccezione,potrei portarmi la mia chitarra? A me non piace suonare l’arpa in paradiso……se ci andrò? Si ci andrò,insieme a tutti coloro che leggendo il racconto di un sig. nessuno, si emozioneranno nel ricordare com’eravamo.

Autore: Pino Gogiali


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