venerdì 31 agosto 2012

CAFE' DU PARC -Il primo amore

Il Cafè Du Parc


Ore 16.00: appuntamento al Cafè du Parc, il mio arrivo è sempre anticipato, lei è sempre puntuale. Ore 16.00. Quella stretta alla bocca dello stomaco, e la salivazione secca insieme ad un senso di tremore, come se la terra sotto i piedi tremasse, è il ricordo che possiedo di quando, con il suo leggero passo da straniera nordica, scendeva da quel tram all’insaputa dei suoi genitori. Parlo del mio primo …amore… Questo è l’evento, perché di un evento si tratta, dal momento che tutti noi, intorno ai 16-18 anni, abbiamo vissuto il primo amore.
Dicevamo…all’insaputa dei genitori…perché, da Piazzale della Radio alla Piramide Cestia c’erano almeno cinque o sei fermate del tram, e per quei tempi, per una ragazzina di 16 anni, era davvero troppo lontano e poi…il tram? Ma scherziamo? Chissà perché lei rischiava tanto, me lo sono domandato tante di quelle volte allora,  che solo dopo, a distanza di tanti anni, ho saputo dare una risposta…forse.
Io di un anno più grande di lei, e credevo di essere un uomo già vissuto, colui che sapeva della vita come pochi altri, l’hippy con i capelli lunghi, il chitarrista affascinante con la sua bianca stratocaster, uguale a quella del grande Jimy. Per lei, forse, ero solo un pericolo per la sua verginità, ma comunque era affascinata da quello che io volevo rappresentare, ma anche da quelle uniche qualità che, ancora oggi, scandiscono i miei comportamenti. Lei si chiamava Titti, soprannome che userò per non ledere nessuno, faceva le superiori, e tutti gli anni ci si incontrava in comitiva al mare, stesso posto, stessa spiaggia, un appuntamento che durava da anni, quando i bar del lungomare erano affollati di ragazzi che formavano comitive, davanti ai juke box ed ascoltavano il brano del momento o il successo dell’inverno appena trascorso. Erano anche gli anni di Lucio Battisti, dei New Trolls, e, per chi amava i gusti più esterofili, si poteva ascoltare la musica dei primi Chicago, o James Brown. Io propendevo per questi ultimi, ma i miei ricordi di Titti sono accompagnati solo da Lucio, sono i ricordi di due ragazzi che passeggiavano per Viale Aventino mano nella mano, parlando di tutto ciò che due ragazzi di quei tempi potevano parlare, in una sorta di tentativi per far capire all’altro i propri sentimenti, mano nella mano, come due fidanzati che non si sono mai dichiarati, ma che sognano di appartenersi.
Che strana storia voglio raccontare? No, non è una storia strana, è solo la trama di un amore mai completamente vissuto e spesso sofferto, fatto di gelosie e malintesi, di parole dette al telefono e non vissute, di quando mi guardava negli occhi  e vedeva il riflesso del cielo, e si avvicinava alla mia bocca quasi fosse ipnotizzata, per poi voltarsi all’improvviso e dire di no a quell’attimo di debolezza….che strana storia….ma in fondo è la storia di noi tutti di ieri, di oggi e di domani. Io, per non vederla così triste, la invitavo ad alzarsi da quel piccolo prato davanti al Circo Massimo circondato dal traffico frenetico di Roma…di nuovo si sentivano rumori di auto, gente, clacson impazziti che riportavano le nostre menti al momento prima del collasso sentimentale. Si faceva finta che non fosse successo nulla, e di nuovo si rideva e si parlava,  ci si toccava con le mani stringendole  nervosamente, ma tutti e due ricordavamo un momento prima di essere in paradiso, dove tutto è silenzioso, e dove chi si ama ascolta il rumore del cuore in un battito che arriva alle tempie e che confonde i respiri a due adolescenti che stanno crescendo.
Ogni anno, dopo la villeggiatura, iniziavamo a frequentarci in modo più intimo, lontano dalle chiacchiere della comitiva che d’inverno si scioglieva e che d’estate si  formava di nuovo, ma a tutti era noto che noi, io e Titti, ci frequentavamo anche lontano dal clima festaiolo del gruppo estivo, tanto da chiamarla “La sposa del Conte”, e naturalmente il Conte ero io, soprannome datomi da un componente della band, per via dei miei modi garbati.
D’inverno eravamo due fidanzatini, d’estate i nostri sentimenti si confondevano, lei per timore dei suoi genitori, io per desiderio di libertà, e fu proprio un inizio di luglio che tutto cambiò, una parola sbagliata, un attimo di eccessivo orgoglio, e il giorno dopo mi trovai volutamente a corteggiare una sua amica, che evidentemente non era poi così tanto amica. Lei, in risposta, si fece vedere insieme a un ragazzo di bell’aspetto, ma io sapevo che la sua era una rivalsa nei miei confronti, e così rincarai la dose per tutto il mese, saltai da un ombrellone all’ altro, in modo che lei mi notasse il più possibile, e lei continuava con il tipo di bell’aspetto….
A fine agosto, in una delle ultime serate,  si organizzò una festa con musica dal vivo, neanche a dirlo mi dovetti esibire con un gruppo nuovo di musicisti assemblati all’ultimo momento.
Passai la serata a cantare e vedere la comitiva che ballava. Quella sera, mentre suonavamo “Eri bella” di Lucio Battisti, lei si stringeva al ragazzo di bell’aspetto, ed i suoi occhi incrociarono i miei…sperai che lei rivedesse nei miei il cielo azzurro di un tempo, ma le luci della sera evidentemente non rifletterono nulla, anche se una lacrima gli discese sulle guance, ma forse era per il ragazzo di bell’aspetto…che, guardandolo bene, mi accorsi che anche lui aveva gli occhi azzurri, e mentre la mia voce cantava ...”Eri bella, comunque bella”…lui la stringeva così forte che per tutta la vita decise di legarsi a lui…
Anni fa mi è capitato casualmente di vedere un uomo di bell’aspetto fermarsi e salutare un mio amico con il quale parlavo, era accompagnato da sua moglie, aveva gli occhi azzurri e mi sembrava di conoscerlo…eh si, era proprio lui, e la signora che lo accompagnava aveva qualcosa di familiare. Lui è diventato un uomo maturo, ma sempre di bell’aspetto, lei una donna di 50 anni, un po’ appesantita dall’età, come tante donne che si dedicano alla famiglia.
Per non trovarmi in una situazione di quelle nelle quali non vorresti mai trovarti, mi sono inventato una scusa e mi sono allontanato. Non ha tremato nulla, non sono cambiati i miei respiri, ma quel brano di Battisti, improvvisamente mi è tornato alla mente………con i tuoi occhi arrossati…eri bella….comunque bella…..

Autore: Pino Gogiali

giovedì 23 agosto 2012

Notti di Agosto alla stazione Termini di Roma

Ricordate tutti i lavori che avete svolto nella vostra vita?
Certamente c’è chi ha svolto una sola professione, e chi , come me , ha esternato le sue capacità lavorative in diversi campi. Dei  tanti lavori svolti, uno in particolare mi è rimasto nel cuore………..
La professione del Portiere d’Albergo.
Quando arriva il mese di Agosto, ogni anno, mi ritrovo a commentare un episodio  o un fatto, un qualcosa che mi riporta indietro nel tempo o nella memoria, persone di passaggio nella mia esistenza, e puntualmente mi viene la nostalgia di quei tempi, di come un lavoro può insegnarti tanto della vita,e inizio a raccontare storie ad amici , parenti,  figli.
In genere non amo raccontare questo tipo di esperienza, perché sono ricordi abbastanza crudi, di cronaca notturna di Roma, che per chi vive al sicuro delle proprie abitazioni, o nei comodi  uffici di un ministero, resta difficile credere.
Ho iniziato a lavorare in albergo nel lontano 1976, per la precisione il 1 maggio , iniziando come aiutante delle cameriere ai piani; dopo 2 mesi  mi passarono di grado, aiuto portiere di notte, in pratica aiutavo nelle pratiche burocratiche, portavo cuscini , borse , e tutto ciò di cui c’era bisogno, inoltre accompagnavo i pellegrini presso altri alberghi della stessa società con una Fiat 850 pulmino.
La società in cui lavoravo possedeva 3 hotel per un totale,  a quei tempi , di circa 350 camere. Il proprietario, un certo Dott. Raeli, era un personaggio molto curioso. Gestiva questa società a livello di gestione familiare, mentre invece era una vera e propria impresa. I suoi alberghi si trovavano tutti alla stazione Termini di Roma, il più grande, L’Hotel Siracusa, era ubicato in via Marsala,  di fianco al bar Trombetta e davanti all’uscita della stazione: una posizione strategica. Era sempre al completo, ed era un porto di mare. Vi pernottava   soprattutto gente  che dormiva soltanto una notte… gente comune così come coppie, politici, attori , prostitute, cantanti, tossicomani, matti senza dimora, insomma una vera e propria casbah. Inutile dire che dovevi avere la mente sveglia e senza paura: il rischio , soprattutto di notte, era quello di essere divorato dal vortice di nefandezze che questa società,  oggi come allora , non manca di offrirci… storture e brutalità che potevano  prendere il sopravvento su di te,  unico responsabile della sicurezza  di 300 persone.
Tornando a quel  lontano 1976, terminò l’estate e con mia grande sorpresa fui invitato a comprare un vestito nero, una camicia bianca e una cravatta in tono, ero stato nominato primo portiere, e per giunta di notte. Ho lavorato con questa mansione fino al 1986, e quello che ricordo con maggior piacere  sono le notti di agosto passate in quella portineria afosa di Via Marsala, dove con 130 camere e 300 persone ti sentivi un leone nella foresta. Il mio turno iniziava alle 19.00 e terminava alle 07.00… 10 ore di lavoro con 3 ore di pausa, si fa per dire, visto che l’eventuale chiusura dalle 03.00 alle 06.00 del portone non avveniva mai, al contrario erano quelle  le ore più interessanti della notte, durante le quali ti slacciavi la cravatta, andavi al bar notturno, il mitico snack bar dell’omonima via:  a quei tempi era un bar aperto di notte che vendeva anche sigarette era raro, e iniziavi a incontrare qualche conoscente di zona, in genere tassisti abusivi, ladri di professione, colleghi, ex clienti del giorno prima, i soliti tossici, prostitute, trans,  poliziotti, e via via un’insieme di razze provenienti dall’Africa equatoriale all’Australia, passando per tutte le regioni italiane.
Il fresco delle ore notturne ti ritemprava dal caldo e dal via vai di quelle ore precedenti, ore frenetiche di lavoro che non ti permettevano pause…verso le 01.00 finalmente un po’  di pace, tiravo fuori una poltroncina, e mi piazzavo davanti l’entrata dell’ hotel, come un vecchio che prende il fresco fuori dall’uscio di casa.
Uscivi dal personaggio del quale ti eri vestito precedentemente, e tornavi a essere quello che eri, un normale giovanotto che faceva lo spiritoso con qualche turista, e che parlava con un conoscente come se fosse al bar sotto casa; il ponentino di Roma ti rinfrescava il corpo e la mente, e la memoria cavalcava i ricordi di quei 24 agosto passati insieme a mio padre e alla mia famiglia, davanti a un Saint Honorè  con delle candeline,  quelle che indicavano la mia età.
L’amarezza mista alla tristezza veniva lenita da Gabriella, ormai ospite fissa dell’hotel,  di rientro dal suo chiacchierato lavoro, che mi portava un caffè prima di andare a dormire, oppure da Walter Norbert, il famigerato mago di piazza Navona, soprannominato Maga Magò per via della sua bruttezza e delle sue dichiarate tendenze omosessuali. Lui , come Gabriella e qualcun altro, era ormai ospite fisso , lo vedevamo  rientrare tutte le notti a tarda ora, a volte sorridente a volte nero come il carbone, e proprio in quei momenti io lo provocavo, chiedendogli  con un sorrisetto di farmi le carte, la  risposta, in misto austriaco e dialetto romanesco,  era  scontata …”Ankora tu crede  a kueste kazzate?” “Ma tu ci campi con questo lavoro,  allora non ci credi?” – “Io non credo a un kazzo, la gende è pakza. “
Io e il mio sottoposto iniziavamo a ridere, e alla fine il mago storto e gobbo, iniziava a ridere, ritirava la chiave , e senza salutare andava a dormire.
Quando seppi del suo assasinio nel 92/93 rimasi dispiaciuto  piuttosto e colpito dal fatto che mentre veniva ucciso, in una notte di capodanno, io mi trovavo a Trastevere a festeggiare il nuovo anno.
Il luogo dell’omicidio era il suo appartamento , proprio lì a Trastevere…che strane coincidenze della vita ci riserva,  a volte,  la vita….
La notte a Roma può diventare pericolosa, Roma con i suoi barboni, gli ubriachi e i malintenzionati. Ma la notte  capitava che mi addormentassi davanti all’ingresso,  galeotto era il fresco della sera, eppure non mi è mai successo nulla, forse perche mi conoscevano, chissà, o forse è stato sempre e solo il caso.
Di notte ci si sentiva con i miei colleghi di quei tempi, erano tanti, alcuni di loro avevano iniziato la loro esperienza sotto la mia direzione, io ero uno dei più anziani in termine di anni di lavoro e  molti di loro li ricordo come fosse ieri…tanti di essi li ho ritrovati su Facebook  .
Angelo, Primo, Stefano,  Cesare, e altri ancora con i quali diciamo sempre di riunirci una sera, poi come sempre  gli impegni o  la famiglia o altre ragioni fanno sì che questo incontro non sia ancora avvenuto, ma sono sicuro che loro mi ricordano come io ricordo loro, come ricordano le tante goliardate fatte insieme o le belle turiste che alloggiavano presso l’uno o l’altro hotel…ricorderanno sicuramente il nostro Dott. Raeli, e le sue stranezze, che a raccontarle non basterebbe una vita intera. Basti pensare che le sue proprietà, tutt’oggi  sette hotel, sono stati lasciati in dono all’Università di Tor Vergata in cambio del suo nome scritto su Borse di studio rilasciate agli  studenti.
Insieme al suo nome ci dovrebbe essere anche il mio e quello di tutti coloro che hanno contribuito a far crescere il suo impero.
Detto ciò,  e raccontato una piccola parte di questo lavoro, se potessi dare un consiglio ai giovani, direi  loro di andare a lavorare come portiere di notte. E’ un’esperienza di vita unica, si impara  a conoscere popoli, lingue, e il sapore della vita in tutte le sue sfaccettature. Un portiere  conoscerà il male , lo combatterà, aprirà  il suo cuore  a chi ne ha bisogno, alloggiando un barbone senza farlo pagare la notte di Natale, sfondando una porta per prestare aiuto a un tossico  con una siringa piantata nel braccio, stringerà  tra le sue braccia cuori stranieri e non. 
E’  un’esperienza di vita che rende  un ragazzo adulto e  che gli  insegnerà a riflettere prima di agire, a non aver paura del prossimo, a scoprire che , anche se questa società è intollerante verso le diversità,  lui potrà dare il suo contributo di conoscenza e di comprensione nei confronti di tutti coloro che camminano nei lunghi e bui corridoi della vita.
Autore: Pino Gogiali

lunedì 13 agosto 2012

QUEL BRUSIO DELLA NOTTE



Lunedi 13 agosto ore 03.40 del mattino.
L’abbaiare prolungato prolungato dei cani mi ha svegliato, e dopo 2 ore che lotto contro questo caldo dal nome mitologico i miei pensieri volano di nuovo a quella che è stato un tempo la mia vita.
Questa volta la mia gioventù fa capolino nel mio girarmi e rigirarmi, tra lenzuola e cuscino. Ero un ragazzo non ancora maggiorenne e da molto tempo la mia vita era autonoma, nel senso che mi alzavo , andavo a lavorare, tornavo per il pranzo, uscivo di nuovo con la mia chitarra, andavo a una scuola serale ( quando me ne ricordavo ) e dopo volavo di corsa in cantina,dove incontravo la mia Band, e quando erano le 1.00 o le 2.00 tornavo a casa. Avevo le chiavi per entrare sia nel portone sia per  entrare dove vivevo con i miei e con mio fratello. Come logica conseguenza, anche le vacanze erano da tempo diventae autonome, ormai era finito il tempo in cui andavo in vacanza per 2 o 3 mesi  al paese con mia madre,  e quindi niente più corse nei prati nè sfrenate volate in bicicletta, per le strette vie del paese. Con gli amici della Band si passava da Rimini a Torvajanica, una piccola località sul litorale romano, dove avevamo tanti amici di vecchia data,  e di sicuro qualche ex dell’anno precedente che di nuovo si sarebbe interessata di me.
Tra questo andare e venire riuscivo a fermarmi qualche giorno a casa insieme a mio padre,  che aspettava il solito periodo di ferie  per potersi aggregare alla famiglia in montagna.
 Insomma, vita bella e spensierata, mio padre fuori tutto il giorno e io , di solito,  tutta la notte. Eppure i miei tormenti venivano a galla  proprio quando ero solo in casa, quando mio padre a volte non si ritirava, e chissà dov’era…o meglio io sapevo dove stava, ma questo, per i grandi, io  non dovevo saperlo, perché  per i genitori  i ragazzi non pensano mai certe cose, secondo loro i ragazzi si divertono,  hanno sempre mille cose da fare, dopotutto a cos’altro debbono pensare? Sono ragazzi e quindi……
Quelle notti passate da solo in casa, mi facevano scoprire le tante cose che nelle famiglie di quei tempi si facevano, ovvero mangiare a tavola, vedere la televisione, e coricarsi a un’ora decente.
Il letto sfatto della mattina precedente, era intatto, con le stesse vallate e il cuscino nella stessa posizione innaturale in cui lo avevi lasciato, davi una sistemata al volo e via… buonanotte.
 Il caldo, lo stesso caldo di tutte le estati, di tutti gli anni da me vissuti,  non ti permetteva di dormire, ti alzavi, il gatto sulla poltrona apriva un occhio, probabilmente disturbato dalla luce, ti dirigevi verso il frigo, aprivi,come per vedere che novità ci fossero, richiudevi, poi  aprivi di nuovo,e decidevi di mangiarti una mela. Terminato il piccolo pasto, riprovavi a sdraiarti, e vuoi la mela vuoi il caldo iniziava la mia notte di tormenti, la temperatura scongelava i miei ricordi, e nel liquefarsi dei miei pensieri si sentiva un brusio che man mano distinguevi in un chiacchiericcio proveniente dal  giardino del palazzo.
Io abitavo in uno stabile di Roma soprannominato “ il Palazzone”: una costruzione con 11 0 12 scale di condominio, 250 famiglie insediate,  e  un grande cortile interno che copriva 5000 metri quadri. Il tutto ombreggiato da grandi pini ed  enormi magnolie che arrivavano a superare il palazzo di 7 piani . Era tutto ben curato dai vari portieri, che all’epoca fungevano da giardinieri, addetti alle pulizie delle varie scale, nonché  vigili  guardiani di un giardino dove non era permesso a nessuno di entrare, se non ai residenti.
Nel mese di agosto le abitazioni si svuotavano,quella era la vera estate romana per chi restava in città,o almeno lo era per me:  niente rumori,  nessun pianto di neonato , nulla, insomma,  che potesse sembrare un rumore di stoviglie, si sentiva solo il vociferare di poche persone che almeno di vista conoscevi, qualche amico d’infanzia, e giovani di generazioni precedenti , gli amici di mio fratello. A quel punto davi un calcio al caldo e uno ai tormenti, ti vestivi e scendevi in giardino. Ciao Tiberio, ciao Pino , ciao Tamara,  e improvviso sentivi dire “ciao Pinuccio,tuo fratello è in ferie? “ “Ciao, si è fuori con la mamma.”
 Il saluto di un amico di mio fratello era motivo di orgoglio da parte mia, in genere tra generazioni diverse esisteva una sorta di razzismo da parte dei più grandi, che  consideravano dei ragazzini chi aveva 6 o 7 anni meno di loro , e ai quali non si poteva dare il saluto, tuttalpiù si poteva dare uno sbruffetto scherzoso se proprio il ragazzino ti salutava.
Ma quella che sembrava un’entrata nel mondo dei più grandi, il giorno dopo aver cantato insieme e aver riso tutta la notte come due coetanei, tutto tornava di nuovo come prima , con la differenza che se  ti incontravano sullo stesso marciapiede, cambiavano direzione.
Loro,  i grandi, non si confondevano con i ragazzini con i capelli lunghi e la chitarra a tracolla , eppure io alla mia età avevo già vissuto due volte la loro pur giovane vita, se penso che mio fratello non aveva neanche le chiavi di casa; tanto a cosa gli servivano…In quelle serate in giardino tutti cercavano compagnia, insomma  un amico col quale parlare perchè si era veramente in pochi…Il 90xcento delle persone era fuori citta,  e quel silenzio notturno ti faceva sentire anche più solo, ma certamente nei primi anni 70 la gente non pensava al suicidio per solitudine.
Quella solitudine che oggi,  nonostante le feste di quartiere o  le serate danzanti organizzate un po’  ovunque , colpisce tante persone le quali tentano di evadere la solitudine con un gesto inconsulto. Terminato di suonare e di spettegolare, ci si avviava finalmente a casa, lo sbadiglio sulla porta d’ingresso faceva coppia con quello del gatto che , affaciatosi nel corridoio di casa  per vedere se fossero  rientrati i padroni, e guardandomi con noncuranza,  sembrava dicesse…”ah sei tu,beh  buonanotte”….si  accoccolava di nuovo e sogni d’oro.
Il caldo non cessava e riapparivanOi i miei tormenti.  tra il dormiveglia mi sembrava di sentire i tacchi di scarpe che battevano il pavimento incerato,  il rumore di vestiti che si battevano tra di loro e poi il tonfo secco attutito da una vestaglia di donna, il tonfo sul pavimento, accompagnato da ingiurie dette silenziosamente, parole dure , decise, parole quasi sussurate e strozzate da un’accento di cattiveria, tutto questo perchè noi ragazzini non dovevamo sentire, e non dovevamo sapere oltre  quella porta chiusa cosa accadesse , come se il preambolo precedente la nostra ritirata obbligata in camera non ci avesse fatto intuire quella che sarebbe stata l’ennesima lite tra di loro, che puntualmente finiva in dramma di gelosia, come una soap opera  già vista, con un copione sempre uguale…io che piangevo e mio fratello che mi rimproverava, facendomi segno di stare zitto,  il giorno dopo nuovo episodio stesso finale.
Vigliaccamente  e incapace di affrontare questo clima, ho vissuto più tempo fuori casa che dentro,  e non ricordo di aver cantato mai….quella carezza della sera…….troppi dolori su quelle mani indolenzite e colpevoli, troppo veleno su quella bocca per poterti dare il bacio della buona notte.
Quando al mattino dopo la nottataccia passata  ti alzavi, non vedevi l’ora di uscire da tutti quei ricordi dell’infanzia. Sul tavolo lasciavi un biglietto scritto…Baffo,  vado da mio cugino a Torvajanica, ci risentiamo P:S. il gatto ha mangiato.
Aprivo la porta che con rabbia richiudevo dietro me, pronto a partire per dove avrei trovato una bocca e una carezza, disposta a curarti le ferite e,se non la trovavi ad aspettarti, pazienza… ne avresti trovata un’altra, come una prescrizione medica mi curavo le ferite con i medicinali che la vita mi offriva. Ma questo a quel tempo io non lo sapevo, mi consola il fatto di non essere stato il solo a vivere queste esperienze traumatiche, ma ho visto tante madri abbracciare i figli per farsi coraggio, ma mia madre non ha mai avuto paura. Io si ne avevo ,e mi sono abbracciato da solo, e quando tutto questo non mi bastava abbracciavo la mia chitarra, la quale senza seguire uno spartito iniziava a suonare il suo lamento, in questo  dialogo tra me e lei non mi sentivo più solo. Come dice Paolo Conte……… si nasce e si muore soli, certo che in mezzo c’è un bel traffico……credo che questo aforisna sia giusto,ma vorrei se possibile fare un’eccezione,potrei portarmi la mia chitarra? A me non piace suonare l’arpa in paradiso……se ci andrò? Si ci andrò,insieme a tutti coloro che leggendo il racconto di un sig. nessuno, si emozioneranno nel ricordare com’eravamo.

Autore: Pino Gogiali


lunedì 6 agosto 2012

ZIO TOM


Chi possiede uno zio possiede un tesoro.
Noi, che qualche anno lo abbiamo già vissuto, possiamo ritenerci fortunati di poter parlare con i nostri zii , ed in particolare, quelli che , come me, non hanno  più i propri genitori.
Se dovessi raccontare una storia su uno zio, senza dubbio inizierei così.
Un pomeriggio del 1960.
Urla provenienti da una camera, mio padre che credeva fossero sbarcati  i marziani, mia madre che stessero di nuovo bombardando Roma, i canarini che sbattevano le ali sulla gabbia e, dalla stanza, esce un uomo di circa 30 anni, alto un metro e ottanta, capelli lisci neri corvino e tendenti al blu, occhi scuri, volto abbronzato e arrabbiato, che esclama:” Chi ha rovesc iato il mio profumo nel  comò?”
 Un bimbo si nasconde, lui si accorge del movimento furtivo, e in silenzio si ritira in camera.
Potrebbe essere uno spezzone di un film di De Sica, ad es. “Vita di una famiglia italiana”. L’attore principale è mio zio, già, perché sembrava proprio un attore, tanto era bello oltre ad essere scapolo…Le  donne gli ronzavano sempre attorno e lui, in attesa di una sistemazione definitiva, viveva a casa della sorella, ossia mia madre, la quale, sposata e con due figli, aiutava il fratello a vivere ed inserirsi nella metropoli.
Mio zio Enzo aveva già vissuto a Roma, da ragazzino, in tempo di guerra. Era stato, come tanti suoi coetanei, avviato all’arte dell’arrangiarsi,  che trovò il suo apice quando gli americani liberarono Roma. Fu così che quei giovani impararono a vivere la vita, rubacchiando qua e là con la compiacenza delle truppe americane, le quali chiudevano un occhio verso quella popolazione affamata e stremata dalla occupazione tedesca.
Al termine del conflitto, tutta la famiglia tornò al paese, tranne mia madre che, nel frattempo, si era sposata. Dopo qualche anno, mio zio fece ritorno e venne ad alloggiare, per un po’ di tempo, da noi. Spesso fu compagno di mio padre nel vedere incontri di pugilato e partite di calcio…in fondo, poteva essergli fratello minore, e mia madre vedeva di buon occhio queste loro uscite serali.
Fu allora che mio padre lo soprannominò Tom.
E ‘ questo il soprannome con il quale io lo chiamo, zio Tom. Quando ero piccolo ho avuto molte sue attenzioni, e io ne ero affascinato…finchè anche lui trovo’ la sua strada: si  fece una famiglia, e poi…poi uno come lui ci stava troppo stretto nelle vesti di marito ed iniziò una nuova vita da scapolo.
Fu allora che noi, più che nipote e zio, diventammo  amici, percorrendo insieme quasi la stessa strada:
mio zio Enzo, alias Tom, si è sposato due volte , proprio come me. Ha avuto quattro figli con due mogli, io ne ho avuti tre, con due mogli. Ha intrapreso diverse convivenze, e così anche io. E’ stato un donnaiolo, io…sorvoliamo. Ha avuto una grande passione per la musica americana, io per tutta la musica. Ha posseduto un numero imprecisato di macchine, io pure. Ha dilapidato denaro con generosità, io forse qualcosa di più. Ora è facile intuire perché sia il mio zio preferito. Quando ci si incontra, spesso per funerali o festività varie, lui è sempre di buon umore, quasi  fa rabbia vederlo così tranquillo. Sembra che gli anni, almeno nello spirito, non lo abbiano scalfito. Al funerale della sorella (mia zia) mi ha raccontato una storia comica, una delle tante, il tutto durante il rito funebre.
 Ho dovuto trattenermi per non ridere…nel frattempo, ha squillato il suo cellulare, che naturalmente non aveva spento. Nel silenzio generale, si è sentita la sua voce esclamare :”mo chi è che rompe i coglioni?” Il prete ha alzato  gli occhi, qualcuno ha riso, e la sua attuale moglie, inglese di nazionalità, lo ha fulminato con lo sguardo,  come solo quelli del Regno Unito sanno fare.
Questo è mio zio, una persona allegra, disincantata, irresponsabile, anche alla età di 80 anni.
Lui  è stato uno zio speciale, mi ha prestato macchine e dischi, siamo usciti anche insieme con le sue amiche…quando lo vedo, gli chiedo di parlarmi del passato, e lui si fa un po’ pregare,  ma poi capisce il mio desiderio di sentirlo parlare dei miei genitori, di  farmi raccontare dettagli o aneddoti a me sconosciuti, episodi che mi farebbero sentire vivo chi non è più presente, e allora inizia a raccontare.
A volte lo vedo che trattiene l’emozione, me ne accorgo subito, perché ride….si, ride, è il suo modo di nascondere l’emozione che gli pervade il cuore…grazie zio per aver regalato quel como’ a mia nonna, perché ogni volta che andavo in villeggiatura da lei aprivo quel cassetto dove da bambino avevo fatto cadere la sua colonia, e nel sentire la fragranza che ancora permeava i cassetti  e che nel tempo non era svanita, tornavo indietro nei miei ricordi anch’essi mai svaniti e dei quali tu ne sei testimone vivente.
Grazie zio Tom perché mi hai dato la tua allegria, il tuo ottimismo, la tua follia, la stessa che possiedo io quando racconto la mia vita.
Tutti abbiamo uno zio particolare, tutti dovremmo avere uno zio Tom, tutti dovremmo ricordarcene più spesso.
autore: Pino Gogiali