domenica 22 luglio 2012

TELEFONAMI TRA......VENT'ANNI


Che fine hai fatto? E’ quello che  si dice quando si incontra una persona dopo tanto tempo, amico o amica di quando si era ragazzini o adolescenti e anche quando hai già passato…diciamo gli anta.
Si…che fine hai fatto? Credevo fossi morto! Di solito l’amico, o amica, ti dà le sue spiegazioni, ti racconta cosa ha fatto, per poi chiederti “e tu piuttosto, sei sparito così, senza dire nulla, che cosa hai fatto tutto questo tempo?”.
Tu racconti il tuo passato, recente e non, e chiudi dicendo “Beh, ci vediamo, telefoniamoci, mi raccomando, poi magari passiamo una serata insieme”…della serie, come diceva Lucio Dalla, “telefonami fra vent’anni”.
Ne sono passati solo sette, di anni, e dovrebbero passarne altri tredici, ma intanto io ti penso e ti ricordo, e mi manchi.
Soprattutto di questi tempi, in cui si sorride così poco, il lavoro è latitante, le idee sono annebbiate.
Sono sicuro che tu avresti avuto un’idea, mi avresti chiamato tutti i giorni per dirmi “Pino, vediamoci oggi pomeriggio, perché ho un affare, poi ti spiego”.
Il tuo affare era andare dal dentista, passare da tua madre, per poi portarci a cena, e dirci “che ne pensate se aprissimo un ristorante, con tante belle ragazze seminude che servono ai tavoli?” . Al solito, io ti avrei mandato a farti benedire, e Enzo, da buon napoletano, che non capisci mai quando scherza o dice il vero, avrebbe detto :”Giuvà, mi sembra buona come idea, veramente originale”.
Io ed Enzo ci sentiamo spesso, proviamo a buttar giù un progetto, ma alla fine, manca sempre quel qualcosa, quella parola, quel coraggio che, per tanti anni, non ci hai mai fatto mancare. Ci chiamavano i tre delle Ave Maria, il Gatto la volpe e Pinocchio. Nessuno sapeva quanto, effettivamente, noi fossimo diversi l’uno dall’altro. Io, il Saggio, il collante dei tre, la Terra.
Enzo era l’allegria, l’acqua fresca che disseta e tu, Gianni, eri la Luce, il Fuoco, il Genio.
Insieme, abbiamo lavorato per 15 anni e tra liti e risate sono stato più con te e Enzo che con mia moglie. Ci siamo voluti bene come fratelli, più che fratelli. Abbiamo sviluppato idee, lavorato a testa bassa, ci siamo buttati in imprese disperate, sempre uniti e sempre detestando reciprocamente i caratteri dominanti dell’uno e dell’altro.
Vedi, Gianni, la vita è come una galleria di quadri, ogni quadro è una rappresentazione, e una volta superata si guarda avanti…ogni tanto ci si guarda indietro, si vedono i ritratti appesi al muro, che rappresentano il passato…ma in tutto questo c’è qualcosa che non va, dove c’era il tuo quadro è rimasto un alone sul muro…non c’è più.
Il Custode della galleria ha pensato di togliere il tuo ritratto, forse perché aveva bisogno di te, forse gli serviva un donnaiolo, un bugiardo, uno spericolato imprenditore.
Di sicuro a noi manchi, e non basta guardarti attraverso una fotografia circondata di fiori, per sentire che ci sei. Noi, nati negli anni ’50, non riusciamo ad abituarci all’idea che, ad uno ad uno, tutti noi prima o poi toglieremo i nostri ritratti dalla vita. E non sono d’accordo con Epicuro, quando  sosteneva che la morte on va temuta, perché quando ci siamo noi Lei non c’è e quando c’è Lei non ci siamo noi. La morte lascia la sua scia di dolore, di vuoto, di tristezza, dopo il suo passaggio. E noi, con i nostri anta, sempre più spesso, vediamo l’impronta  che lascia al suo passaggio. I nostri ricordi di come eravamo, spesso ci fanno sorridere, a volte ci fanno piangere, di sicuro non ci fanno scordare chi tra di noi è andato via.
Vediamoci tra vent’anni o trenta o di più, ma in questo tempo che passa non dimentichiamoci mai di padri e madri, mogli o mariti, fratelli o amici, e quanti in questa  vita terrena  ci hanno amato.
                                                              L'ultima nostra creazione

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