Che fine hai fatto? E’ quello che si dice quando si incontra una persona dopo
tanto tempo, amico o amica di quando si era ragazzini o adolescenti e anche
quando hai già passato…diciamo gli anta.
Si…che fine hai fatto? Credevo fossi morto! Di solito
l’amico, o amica, ti dà le sue spiegazioni, ti racconta cosa ha fatto, per poi
chiederti “e tu piuttosto, sei sparito così, senza dire nulla, che cosa hai
fatto tutto questo tempo?”.
Tu racconti il tuo passato, recente e non, e chiudi dicendo
“Beh, ci vediamo, telefoniamoci, mi raccomando, poi magari passiamo una serata
insieme”…della serie, come diceva Lucio Dalla, “telefonami fra vent’anni”.
Ne sono passati solo sette, di anni, e dovrebbero passarne
altri tredici, ma intanto io ti penso e ti ricordo, e mi manchi.
Soprattutto di questi tempi, in cui si sorride così poco, il
lavoro è latitante, le idee sono annebbiate.
Sono sicuro che tu avresti avuto un’idea, mi avresti
chiamato tutti i giorni per dirmi “Pino, vediamoci oggi pomeriggio, perché ho
un affare, poi ti spiego”.
Il tuo affare era andare dal dentista, passare da tua madre,
per poi portarci a cena, e dirci “che ne pensate se aprissimo un ristorante,
con tante belle ragazze seminude che servono ai tavoli?” . Al solito, io ti
avrei mandato a farti benedire, e Enzo, da buon napoletano, che non capisci mai
quando scherza o dice il vero, avrebbe detto :”Giuvà, mi sembra buona come
idea, veramente originale”.
Io ed Enzo ci sentiamo spesso, proviamo a buttar giù un
progetto, ma alla fine, manca sempre quel qualcosa, quella parola, quel
coraggio che, per tanti anni, non ci hai mai fatto mancare. Ci chiamavano i tre
delle Ave Maria, il Gatto la volpe e Pinocchio. Nessuno sapeva quanto,
effettivamente, noi fossimo diversi l’uno dall’altro. Io, il Saggio, il
collante dei tre, la Terra.
Enzo era l’allegria, l’acqua fresca che disseta e tu,
Gianni, eri la Luce, il Fuoco, il Genio.
Insieme, abbiamo lavorato per 15 anni e tra liti e risate
sono stato più con te e Enzo che con mia moglie. Ci siamo voluti bene come
fratelli, più che fratelli. Abbiamo sviluppato idee, lavorato a testa bassa, ci
siamo buttati in imprese disperate, sempre uniti e sempre detestando
reciprocamente i caratteri dominanti dell’uno e dell’altro.
Vedi, Gianni, la vita è come una galleria di quadri, ogni
quadro è una rappresentazione, e una volta superata si guarda avanti…ogni tanto
ci si guarda indietro, si vedono i ritratti appesi al muro, che rappresentano
il passato…ma in tutto questo c’è qualcosa che non va, dove c’era il tuo quadro
è rimasto un alone sul muro…non c’è più.
Il Custode della galleria ha pensato di togliere il tuo
ritratto, forse perché aveva bisogno di te, forse gli serviva un donnaiolo, un
bugiardo, uno spericolato imprenditore.
Di sicuro a noi manchi, e non basta guardarti attraverso una
fotografia circondata di fiori, per sentire che ci sei. Noi, nati negli anni
’50, non riusciamo ad abituarci all’idea che, ad uno ad uno, tutti noi prima o
poi toglieremo i nostri ritratti dalla vita. E non sono d’accordo con Epicuro,
quando sosteneva che la morte on va
temuta, perché quando ci siamo noi Lei non c’è e quando c’è Lei non ci siamo
noi. La morte lascia la sua scia di dolore, di vuoto, di tristezza, dopo il suo
passaggio. E noi, con i nostri anta, sempre più spesso, vediamo l’impronta che lascia al suo passaggio. I nostri ricordi
di come eravamo, spesso ci fanno sorridere, a volte ci fanno piangere, di
sicuro non ci fanno scordare chi tra di noi è andato via.
Vediamoci tra vent’anni o trenta o di più, ma in questo
tempo che passa non dimentichiamoci mai di padri e madri, mogli o mariti,
fratelli o amici, e quanti in questa
vita terrena ci hanno amato.
L'ultima nostra creazione
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