giovedì 26 luglio 2012

LA MACCHINA INVISIBILE CHE MI PORTA AL PIGLIO


                                                                                                           
Roma ,un giorno di Settembre .
“Sono stato in Grecia”
”Io ho  visto la costa della Croazia”
“ New York , che meraviglia!”
 “Parigi,non vedo l’ora di tornarci”
Amici, parenti, conoscenti, sconosciuti al bar o dal barbiere, insomma un po’ ovunque, c’è un tizio o una tizia che dice:”Sono stato a……. al prossimo viaggio ci torno”.  Non sento mai dire:”che emozione rivedere i posti di quando da bambino andavo a fare le vacanze”.
 Io non sono un amante dei viaggi, ma non per questo  mi sento di criticare chi viaggia, in fondo ognuno ha i suoi gusti.  A dire che non ami viaggiare, si rischia di passare per scemo, oppure per snob, non penso che queste categorie mi appartengano, ma ho sempre pensato di essere….diciamo così,  amante delle comodità e soprattutto  quella di casa mia.
Eppure se volessi un giorno fare un viaggio, andrei di certo  a Piglio, poco distante da Roma, un piccolo paese, noto soprattutto per il vino Cesanese. Voi mi  direte: “E perche non ci vai?”  La mia risposta è perchè la macchina del tempo  non è stata ancora  inventata.
Esiste , però, una macchina invisibile, che mi permette di viaggiare: si chiama macchina dei sentimenti  e possiede la  memoria del cuore.  Questa  immaginaria simcard ha la capacità di farti ricordare tutte le senzazioni piacevoli e non,  ti consente di ascoltare i rumori dell’anima, i profumi del  tempo che fu,  e ti fa correre con la mente,  verso paesaggi  a noi familiari.
 Le nostre vacanze non erano fatte di vacanze esotiche,  o di eleganti alberghi, al massimo si andava a casa di nonna, perché  le nostre famiglie erano famiglie provenienti  da paesi agricoli, che erano venute a  cercare lavoro in città, come diceva Gaber:”   vieni a stare in città , che stai a fare in campagna”…ma poi, quando arrivava l’estate, per noi ragazzini tornare in campagna significava  vacanze, libertà, ritrovare amici del posto e amici della città, che come te avevano la nonna materna o paterna, proprio lì.
 Il Piglio vive nei miei ricordi, con la figura di mia madre, che ricordo rilassata, allegra, disponibile nei nostri confronti, lontana dalla città e forse lontana dalle discussioni di casa e dalla confusione della metropoli. Quando arrivava al paese, mia madre sfoderava una pronuncia ciociara, come se non si fosse mai allontanata da lì, era, come si suol dire…il richiamo della foresta, o più semplicemente il richiamo del cuore. E così la mattina si andava a passeggio per il paese, dove sbucavano improvvise parentele e abbracci  di paesani che chiamavano mia madre, con il suo diminutivo…..Bertì...cumma a stai……
 Ma quello che ricordo con maggiore intensità erano le passeggiate lungo la strada che ti portava al Convento di S. Lorenzo, a  quota 1000 metri,  nell’arco di  1 ora, sotto il sole, ammirando panorami  arsi dalla calura e dalla polvere alzata dai contadini  al passaggio nei campi, finchè , stanchi e accaldati, finalmente si arrivava.
L’ombra che ci accoglieva all’arrivo al monastero  era un’ombra immensa, come immenso era il grande leccio che la procurava, e poi l’acqua , un fontanile sovrastato da una statua di S. Francesco, da dove sgorgava un’acqua gelida, che non potrò mai dimenticare ; ne bevevo così in fretta, da sentire il dolore alle tempie, mentre intorno a me le cicale ti ricordavano che, oltrepassata l’ombra, la canicola ti avrebbe di nuovo fatto ansimare.
 Nel sottofondo, la quercia suonava il suono delle foglie, sussurandoti di non allontanarti, e si riusciva a sentire oltre le foglie un tenue vento, che ti ricordava comunque che ti trovavi a 1000 metri.
Quei rumori , quell’odore,  quel caldo, avevano un loro profumo…ogni momento della vita possiede un suo odore, a volte la mente lo codifica, altre volte lo scarta, ma voi avete mai avuto la sensazione che il vostro cuore annusi un profumo? Si , certo che l’avete avuta , e nessuno può dire a cosa somigli, perche è un profumo fatto di gioia , di tenerezza, di rimpianti per un tempo che non tornerà mai più, un tempo fatto di ricordi,  quelli di nonna, di nonno, e per i meno fortunati quelli dei nostri genitori, che ci sembravano vecchi quando erano giovani, e bambini quando erano sofferenti su di un letto.
Che strana la vita, cerchiamo luoghi sconosciuti per provare nuove sensazioni, nuove visioni , e poi non andiamo mai a ricercare le nostre radici. Se fosse possibile l’impossibile, vorrei avere una casa al Piglio, affacciarmi da una finestra e vedere di fronte  i monti che mi sovrastano… vorrei rivedermi ragazzino a passeggio con mia madre, o in corse scatenate per i campi,  e poi,  come in un trailer di un film, cambiare scena , cambiare finestra, vedermi seduto su una sedia in un terrazzino, con un geranio trapiantato in un barattolo di pomodoro, una immancabile sigaretta, e in completa solitudine guardare il mare fino al confine con il cielo.
Vorrei poter stare a 50km da Roma e a un milione di anni luce dal resto del mondo. E quando si fa notte  da tutte le finestre si vedrebbe lo stesso panorama, un cielo stellato, illuminato dai bagliori  di stelle, che da sempre ci accompagnano, come i nostri ricordi , che mai ci hanno lasciato e mai hanno smesso di illuminare i nostri cuori.
Autore: Pino Gogiali

domenica 22 luglio 2012

TELEFONAMI TRA......VENT'ANNI


Che fine hai fatto? E’ quello che  si dice quando si incontra una persona dopo tanto tempo, amico o amica di quando si era ragazzini o adolescenti e anche quando hai già passato…diciamo gli anta.
Si…che fine hai fatto? Credevo fossi morto! Di solito l’amico, o amica, ti dà le sue spiegazioni, ti racconta cosa ha fatto, per poi chiederti “e tu piuttosto, sei sparito così, senza dire nulla, che cosa hai fatto tutto questo tempo?”.
Tu racconti il tuo passato, recente e non, e chiudi dicendo “Beh, ci vediamo, telefoniamoci, mi raccomando, poi magari passiamo una serata insieme”…della serie, come diceva Lucio Dalla, “telefonami fra vent’anni”.
Ne sono passati solo sette, di anni, e dovrebbero passarne altri tredici, ma intanto io ti penso e ti ricordo, e mi manchi.
Soprattutto di questi tempi, in cui si sorride così poco, il lavoro è latitante, le idee sono annebbiate.
Sono sicuro che tu avresti avuto un’idea, mi avresti chiamato tutti i giorni per dirmi “Pino, vediamoci oggi pomeriggio, perché ho un affare, poi ti spiego”.
Il tuo affare era andare dal dentista, passare da tua madre, per poi portarci a cena, e dirci “che ne pensate se aprissimo un ristorante, con tante belle ragazze seminude che servono ai tavoli?” . Al solito, io ti avrei mandato a farti benedire, e Enzo, da buon napoletano, che non capisci mai quando scherza o dice il vero, avrebbe detto :”Giuvà, mi sembra buona come idea, veramente originale”.
Io ed Enzo ci sentiamo spesso, proviamo a buttar giù un progetto, ma alla fine, manca sempre quel qualcosa, quella parola, quel coraggio che, per tanti anni, non ci hai mai fatto mancare. Ci chiamavano i tre delle Ave Maria, il Gatto la volpe e Pinocchio. Nessuno sapeva quanto, effettivamente, noi fossimo diversi l’uno dall’altro. Io, il Saggio, il collante dei tre, la Terra.
Enzo era l’allegria, l’acqua fresca che disseta e tu, Gianni, eri la Luce, il Fuoco, il Genio.
Insieme, abbiamo lavorato per 15 anni e tra liti e risate sono stato più con te e Enzo che con mia moglie. Ci siamo voluti bene come fratelli, più che fratelli. Abbiamo sviluppato idee, lavorato a testa bassa, ci siamo buttati in imprese disperate, sempre uniti e sempre detestando reciprocamente i caratteri dominanti dell’uno e dell’altro.
Vedi, Gianni, la vita è come una galleria di quadri, ogni quadro è una rappresentazione, e una volta superata si guarda avanti…ogni tanto ci si guarda indietro, si vedono i ritratti appesi al muro, che rappresentano il passato…ma in tutto questo c’è qualcosa che non va, dove c’era il tuo quadro è rimasto un alone sul muro…non c’è più.
Il Custode della galleria ha pensato di togliere il tuo ritratto, forse perché aveva bisogno di te, forse gli serviva un donnaiolo, un bugiardo, uno spericolato imprenditore.
Di sicuro a noi manchi, e non basta guardarti attraverso una fotografia circondata di fiori, per sentire che ci sei. Noi, nati negli anni ’50, non riusciamo ad abituarci all’idea che, ad uno ad uno, tutti noi prima o poi toglieremo i nostri ritratti dalla vita. E non sono d’accordo con Epicuro, quando  sosteneva che la morte on va temuta, perché quando ci siamo noi Lei non c’è e quando c’è Lei non ci siamo noi. La morte lascia la sua scia di dolore, di vuoto, di tristezza, dopo il suo passaggio. E noi, con i nostri anta, sempre più spesso, vediamo l’impronta  che lascia al suo passaggio. I nostri ricordi di come eravamo, spesso ci fanno sorridere, a volte ci fanno piangere, di sicuro non ci fanno scordare chi tra di noi è andato via.
Vediamoci tra vent’anni o trenta o di più, ma in questo tempo che passa non dimentichiamoci mai di padri e madri, mogli o mariti, fratelli o amici, e quanti in questa  vita terrena  ci hanno amato.
                                                              L'ultima nostra creazione

mercoledì 18 luglio 2012

THE BAND

Quando, nel 1963, scoprimmo che esisteva una musica mai sentita prima di allora, tutto il mondo, giovanile e non, iniziò a fischiettare quel motivo che iniziava con il suono di un'armonica soffiata da un certo John Lennon, ed accompagnata da una band di nome Beatles. Quel pezzo diceva "Please please me". In quel preciso istante la mia vita cambiò come da una crisalide a una farfalla. Iniziai a volteggiare con la fantasia, credendo di essere Paul Mc Cartney, emulando mosse da chitarrista con la scopa di casa, o con il braccio sinistro come fosse il manico dello strumento. Mio padre, vista questa mia malsana passione, mi mandò da un suo collega di lavoro, il signor Nino Battistelli, il quale, oltre a fare il fattorino all'Atac, arrotondava lo stipendio insegnando ai giovani l'uso della chitarra. Per diversi anni seguii le lezioni, e riconosco che mi furono di grande aiuto. Quando avevo 11 anni arrivai secondo classificato al concorso di voci e band che si svolse alla Sala Vignoli, a Roma.
(Il primo arrivato era Felice Mariani, grande campione di judo ed attualmente commissario tecnico della nostra nazionale). Vinse lui perchè cantò il motivo di Celentano "Il ragazzo della Via Gluck". Io cantavo una cover dell'Equipe 84, "Quel che mi hai dato". Il mio livello musicale era di gran lunga superiore alla media dei miei amici di quei tempi, ascoltavo musica inglese, e la riproponevo con le prime band di quei tempi. Voi penserete che, a quella età, come  potevamo avere chitarre elettriche, batterie, amplificatori, etc etc?
Non avevamo nulla, se non le nostre chitarre da studio, eppure con un po' di fantasia tutto poteva essere riprodotto, e come?
Semplice. Si piazzava sulla chitarra un magnete e si collegava alle vecchie radio a valvole, e oplà, come per magia il suono della chitarra usciva dagli altoparlanti, come appunto una chitarra elettrica...per la batteria, invece, le cose si complicavano un po', ma con qualche pentola, coperchi, fustini di sapone per lavatrici, due bastoni piccoli il rumore era garantito.
Con il passare del tempo, finalmente ebbi la mia prima chitarra elettrica: una Excelsior ed un amplificatore FBT. Il giorno della Befana ci esibimmo alla festa del Poligrafico, al cinema teatro Verbano. Ricordo che suonavo e cantavo il motivo dei Camaleonti:  "L'ora dell'Amore", grande successo in sala, una ragazzina mi chiese persino l'autografo!
Ma veniamo al salto di qualità: Jimi Hendrix.
a 16 anni
Fui fulminato dal suo suono, era un altro mondo. Con grande sforzo economico acquistai una Fender usata, e un'amplificatore Davoli, il tutto alla modica cifra di lire 180mila, una somma notevole nel 1968.
E venne il tempo della musica psichedelica, degli effetti stranissimi sulle chitarre e dei suoni particolari.
Anche qui l'inventiva non mancava, mettevamo la chitarra davanti agli altoparlanti e le chitarre fischiavano, tutto stava  alla nostra abilità di controllo del fischio, e Jimi Hendrix si materializzava.
Ricordo con grande nostalgia Riccardo, il più grande di età di noi tutti. Nonostante avesse una forma di asma bronchiale, cantava con una voce come pochi, e al termine del pezzo aspirava dalla sua bomboletta la vita, quella vita che lo abbandonò all'età di 36 anni, quando la bomboletta aveva esaurito la sua forza. Con altrettanta nostalgia ricordo Doppia Altezza, un ragazzo alto 1.95 che amava vestire all'inglese; non era interessato che alla musica e alle ragazze,a quei tempi non essere schierati politicamente significava esserre degli stupidi  ignoranti, o peggio dei cretini.
Noi amavamo la musica e la vita sotto le sue forme artistiche, eravamo più figli dei fiori che figli dei montgomery. Doppia Altezza è un altro che ci ha lasciato, ma non fisicamente. Doppia Altezza è finito alle cronache per i suoi due o tre ergastoli, come è capitato a tutti i brigatisti  irriducibili.
Per me, che l'ho conosciuto da ragazzo, e con il quale ho condiviso una tenda nell'estate del 1970  a Rimini, mi sembra ancora impossibile. Ma per Doppia Altezza,  Stefano Minguzzi per la cronaca, il cambiamento è stato possibile. Questa è la mia storia e credo che molti della mia età ci si riconosceranno, chi riascoltando Jimi Hendrix, o i Cream o gli Who.
Noi con i capelli lunghi, le camicie fiorate, un po' Bob Dylan, un po' Antoine, noi che al massimo abbiamo suonato in qualche bettola, o a casa degli amici, con le nostre madri che ci chiedevano di abbassare il volume e di aprire i libri. Noi che suonavamo un lento mentre gli amici stringevano tra le braccia ragazze che guardavano le nostre chitarre fiammanti. Noi ragazzi e ragazzini degli anni '50, che non vogliamo ancora arrenderci, perchè finchè c'è musica noi ci saremo.
Autore : Pino Gogiali

domenica 8 luglio 2012

Dracula, lo trovi sempre ... in Paradiso


Fino alla fine degli anni sessanta e primi settanta, esisteva  nei cinema il settore galleria, da  noi chiamato "paradiso", ed il settore platea.
Il paradiso, o galleria, era il settore rialzato del cinema, dove alle ultime file trovavi i fidanzatini oppure i soliti ragazzacci spiritosi. Io ho fatto parte di tutte e due le categorie, ma quella che ricordo con più simpatia è quest'ultima: la categoria dei ragazzacci, con il loro humor a volte rumoroso e a volte triviale.
Erano quelli che, se non andava in onda il film, fischiavano.
Erano quelli che, se si interrompeva la pellicola, protestavano.
Erano quelli che, quando passava il bibitaio, lo chiamavano nonnetto anche se era giovane.
Erano quelli che buttavano in platea i sacchetti vuoti del pop - corn.
Insomma, eravamo i teppisti di quegli anni.
Dovrei vergognarmi di quanto affermo, però il mio cuore e i miei ricordi vanno oltre il senso di colpa. I film dell'epoca erano "La dolce vita", "La ciociara", "La classe operaia va in Paradiso", "Totò e Peppino", interpretati da Sophia Loren, G.M.Volontè, Mastroianni (per noi semplicemente Marcello), Totò e poi non dimentichiamo il grande Christopher Lee. Eh si, perchè c'erano anche i film dell'orrore, tra questi " Dracula il Vampiro". Ebbene, è proprio da quest'ultimo che vorrei raccontarvi la goliardia dei giovani di quei tempi. Lo scherzo più ricorrente, durante la programmazione del film, era quello di mordere sul collo il malcapitato davanti alla nostra poltrona. Tutto questo nel momento più cruento del film.
Scoppiava un putiferio, urla e invettive, luci che si accendevano, e il malcapitato che cercava di individuare il colpevole, indicando uno del gruppo, il quale rispondeva :"E che so' stato io?"
In finale, si cambiava posto e si ricominciava a vedere il film.
I nostri cinema erano di terza visione, al massimo seconda visione. La prima visione era un lusso che non potevamo permetterci. La domenica si andava al cinema parrocchiale, perchè le ragazze di quei tempi le potevi vedere solo la domenica e solo al cinema della parrocchia, dove trovavi tutte le famiglie del tuo  palazzo, tutti  seduti su sedie di legno che , ogni volta  che ti alzavi, si richiudevano con grande fracasso.
Bambini che correvano lungo i corridoi, mamme e papà che li rincorrevano e li sculacciavano.
In tutto questo caos, sembrava impossibile vedere lo spettacolo, eppure appena iniziava a girare la pellicola, era un tripudio di applausi e subito dopo un silenzio di tomba.
Tutti noi di quegli anni abbiamo avuto la fortuna  di vedere grandi film e soprattutto grandi attori. Noi, questi attori, li abbiamo visti e ammirati in film famosi in bianco e nero o a colori. Nessuno può contestarci, quando li nominiamo. Non siamo vecchi, siamo solo stati abituati bene, ed è difficile che,  oggi, un film o un attore possa entusiasmarci più di tanto. Noi abbiamo visto il meglio dell'arte cinematografica, e abbiamo visto ciò che i ragazzi di oggi non potranno mai vedere
Abbiamo pianto con De Sica e riso con Totò, mentre bevevamo l'aranciata dal gusto di cera e di cartone, esattamente come il bicchiere che la conteneva. Il tutto, da una poltrona del "paradiso" dove spesso potevi incontrare  Dracula.




Autore: Pino Gogiali