Negli anni sessanta e anche settanta a Roma esistevano dei
quartieri , che oggi chiameremmo bidonville, ma che allora si chiamavano “borghetti”
o “baraccopoli”.
Dalle mie parti c’era il Borghetto Prenestino, il famoso
Mandrione –nel quale Pasolini girò il film “L’accattone “e, ancora più vicino a
casa mia, il Torrione. Questi agglomerati
urbani erano considerati luoghi di perdizione, inciviltà e sporcizia.
Vi si trovavano, generalmente, immigrati e nullatenenti provenienti dal Sud Italia. Molti
di loro sfamavano le loro famiglie lavorando nella edilizia, altri, invece, si
inventavano i mestieri più disparati, che consentivano loro di sbarcare il
lunario.
Naturalmente, in questa miriade di gente per lo più
analfabeta, non mancavano le prostitute con
i loro protettori , i ladri e i truffatori.
Tra la gente comune
di quei tempi, regnava una sorta di
intolleranza nei confronti di queste comunità, né più né meno di quello che
oggi si prova nei confronti degli extracomunitari.
Pur essendo cambiati i tempi, resta
comunque la ghettizzazione di certe comunità e una poco nascosta
intolleranza da parte della massa.
Tutto questo che ho
premesso, mi serve per raccontarvi una storia che, a distanza di quasi mezzo
secolo, è ancora viva nella mia mente.
Tra i vari lavori inventati di quei tempi, esiteva la “varechinaia”,
una persona che si fermava casa per casa per vendere quella che allora veniva
chiamata “varechina” (da qui il nome varechinaia) e che oggi si vende come
candeggina.
Da noi veniva una donnina canuta, che appariva vecchia e
dimessa. Con lei, nascosta dietro alla sua gonna, si nascondeva una bambina che
aveva la mia stessa età. Il suo nome era Lola. Quando arrivavano davanti alla
nostra porta, io correvo lungo il corridoio e anche io, dietro la veste di mia
madre, mi nascondevo e la guardavo.
Lei mi fissava profondamente con i suoi occhi scuri, ed io
mi intimidivo e nascondevo il viso dietro mia madre. Quando la varechinaia
parlava, io non capivo cosa dicesse, perché il suo dialetto, per me bambino,
era incomprensibile. La bambina non
parlava mai. Gli anni passavano, lei cresceva ma io già non correvo più lungo
il corridoio di casa mia. Ormai facevo la prima media ed avevo già la tessera dei
mezzi pubblici, e un pomeriggio d’estate mi trovavo alla fermata del tram e
notai l’arrivo di un’ambulanza …si sentivano voci e grida provenienti dalla
baraccopoli. Da lì a poco uscirono uomini e donne imbiancati di polvere, con le mani ferite: uno di loro teneva in
braccio una giovane ragazzina, e dietro lo
seguiva una donnina piccola e canuta,
che piangeva e urlava frasi in un dialetto incomprensibile. Era lei, la
varechinaia, e il fardello che l’uomo portava in braccio correndo verso l’ambulanza era Lola,
seminuda , con le vesti impolverate e le ferite sul corpo. Purtroppo per lei la baracca le era crollata
addosso, coprendo il suo corpo con polvere e calcinacci, e forse anche con quel
sapone che era servito a farla crescere,
a farla diventare signorina, sognando una casa, un marito, magari con gli occhi
azzurri come i miei da far conoscere
alle cuginette del suo paese. Niente di tutto questo: la sorte la portò via in un pomeriggio d’estate,
a Roma, presso una baraccopoli degli anni sessanta. Un articolo della cronaca
di Roma, il giorno dopo, si limitò a descrivere l’accaduto in due misere righe,
né più né meno di quello che accade oggi agli immigrati del ventunesimo secolo.
Ho sempre in mente un quadretto che avevamo a casa, di una
bambina con i capelli neri , gli occhi neri e un canarino sulla mano e, come
sfondo, un cielo azzurro. Lo ricordo così bene da poterlo ridisegnare, così
come ricordo quella bambina timida che si nascondeva dietro agli abiti logori della
mamma, mentre il cielo di Roma era azzurro.
Autore: Pino Gogiali
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