“Sai che oggi ho preso il bus e sono scesa 2 fermate dopo?”
“Eri distratta”
“No, non ricordavo
dove era il tuo negozio”
“Ma come non ricordi ? Stavi con la testa altrove? Ma dimmi
ci sono problemi?”
“No, è che mi sento
stanca come se fossi confusa, mi dimentico le cose, non ricordo mai niente, sarà l’eta”
“Ma no , sei sempre stata così, sempre assorta nei tuoi
pensieri, vai a passare qualche giorno da tua sorella, vedrai che starai
meglio, ti accompagno io”
“No,non voglio vedere nessuno.”
Erano i primi anni
90,mia madre si avvicinava ai 70 anni, io preso dalla mia attività avevo poco
tempo da dedicarle, inoltre era più che autosufficiente, ormai da anni aveva
superato la perdita di mio padre, e si era abituata a vivere da sola.
Un giorno mi arrivò una chiamata di una persona amica, che
m’informava degli strani comportamenti
di mia madre, come uscire dal negozio senza pagare o non rispondere al saluto. Per farla breve, il
medico curante disse che si trattava di arterio sclerosi prematura. L a realtà
era che in quegli anni pochi conoscevano quella malattia , che oggi, invece, tutti conoscono con il nome di Morbo di Alzheimer.
Non voglio usare termini medici nè risvolti umani
generalizzati alle conseguenze di questa
malattia, come sempre vi parlerò della mia memoria, e di quello che sono le
sensazioni provate in quei lunghi 7
anni, facendo ricorso a quello che la mia memory card del cuore registrò. “Chi sei tu?” “Mamma sono io, sono Pino tuo
figlio” “Mio figlio Roberto?” “No, tuo
figlio Pino” “Pino? Mah”
Tutte le volte che l’avvicinavo mi sentivo ferito, e ogni volta
che accadeva ritornavo ragazzino, e una
sorta di rassegnazione difensiva s’impadroniva di me , quella stessa difesa che
da ragazzo avevo adottato, … ma che mi importa……ma non ero più un
ragazzo, ero un uomo vissuto, un uomo che già poteva raccontare la sua vita, eppure tornavo indietro nei miei tormenti giovanili , anni nei quali
sentivo che le sue attenzioni erano più
per mio fratello che per me, anche nella malattia era così, non era cambiato niente in quel momento, preferiva lui a
me. Oggi mi rendo conto che il solo fatto che mio fratello le dedicasse più
tempo era per lei motivo di abitudine al
suo volto, e che nella sua limitata memoria non c’era spazio per me. Passare
quelle poche ore con lei era come parlare con un bambino, e mi colpiva molto
questa sua ricerca dei termini adatti nel rappresentare ciò che voleva dire.
Nell’indicare un aereo che passava era consapevole che tale fosse, ma non
ricordava la parola, e lo chiamava uccello, forse a lei era più facile,forse
volare come un uccello era quello che desiderava, volare via lontano dal mondo
reale, allontanarsi per sempre da tutto,
consapevole di non perdere la sua dignità, e viaggiare in un mondo che da lì a
breve avrebbe accolto i suoi sogni, le sue parole, quelle che non riusciva più
a proferire, un mondo dove non si deve mangiare, non ci si deve vestire, dove non si parla , ma si
sorride attraverso una foto lasciando ricordare i momenti belli vissuti assieme.
Mentre il tempo
passava,passava anche quella poca luce che era rimasta nei suoi occhi, e io di
nuovo la cercavo, la cercavo dentro la sua anima, nella speranza di trovarla
nascosta in un piccolo angolo, dove le pareti dei muri rialzati non permettevano
la vista di quella piccola e timida fiammella, che tenuta nascosta avrebbe
potuto illuminare anche il mio viso, per poter vedere nel suo sguardo spento quella tenue luce, alla quale avrei aggiunto
io le parole…mamma….e sperare di
sentirmi rispondere……Pino, figlio mio…….Man
mano che il tempo passava per me, sempre più rallentava per lei, fino a
fermarsi completamente, in una sorta di play off, con un tempo non definito, ma
che da lì a poco avrebbe ripreso, e che come in una partita sportiva ci si aspettava di terminare l’incontro per porre
fine a quella brutta sconfitta.
Sconfitta indegna , contro un avversario inesorabile che
continuava a colpirti, anche quando eri a terra, annientando ogni sorta di
dignità, colpendo anche quando chiedevi
pietà, lasciami finire la partita con un minimo di onore, e per risposta
, di nuovo colpiti ,sempre di più fino a
farti scendere nel più disonorevole abbandono, gettare la spugna ,niente da
fare, con un calcio la spugna era fuori dal ring, chi se ne sarebbe dovuto
accorgere,non aveva visto il colpo di piede che questa terribile malattia aveva
dato a quella spugna da te invocata. Dio non può vedere tutto, Dio non sa cosa
significa per un ragazzo lavare la mamma nuda, pulirla nell’intimo del suo
corpo, mettergli una cannuccia per farla bere, aspettando che attraverso il
respiro, unica volontà autonoma, le permettesse di idratarsi. Quando ho detto ragazzo è perche
in quei momenti ero tornato indietro nel tempo,volevo sentirmi ragazzo e dare a
lei quello che non avevo dato prima, ma l’uomo dentro quel ragazzo era presente
e sempre vigile, e lottava contro quel nemico che non senza tregua, anche se da li a poco avrebbe tolto anche il ricordo
del respiro. Era finita, il massacro era terminato,e con esso finalmente
tornava la dignità di un corpo che si apprestava a volare verso quel posto,dove non c’è
bisogno di parlare ,mangiare ,vestirsi, lavarsi, basta fare un sorriso su di
una foto,e la dignità ritorna come d’incanto,e ti accorgi che in fondo poteva
finire prima e che tutte le sofferenze patite e fatte patire, potevano essere
evitate, semplicemente lasciando che salisse sulle piume di quell’uccello che
ancora riusciva a descrivere per trasformarlo in un pensiero poetico, dal quale
noi discendiamo e che ci distingue dalle altre speci.
Questa terribile
esperienza mi ha segnato nell’animo e
nella fede, ma mi ha reso più forte alla morte, tanto da non temerla, mi ha
reso un guerriero che lotta contro questo terribile destino, lotto contro di
essa pur sapendo di capitolare ogni qual volta ne vengo colpito, e svariate
volte sono stato abbattuto, il pensiero
e il ricordo di mia suocera è dentro la mia anima. Lasciò anche lei in
un sconforto di lacrime la sua famiglia ma io non cedetti le armi , la mia rabbia non mi permise di
versare una sola lacrima alla ingloriosa uscita di scena così rapida….rapida come certi mali che conosciamo bene e da molto
tempo, la sua dignità l’ho difesa con
tutto me stesso, lottando contro quel male con l’impegno appunto di un
guerriero, che seppur a conoscenza della sua prossima sconfitta non cedeva le armi e l’onore davanti a tanto disfacimento….questo
è ormai diventato il mio modo di difendere
i valori di quelle persone a me
care e che oggi vedo sorridenti attraverso una fotografia, rabbia ! questo è ciò che mostro alla morte, il dolore e le lacrime
di sangue sono chiuse e sigillate dentro
il mio cuore, e lei non può goderne,
solo così difendo la loro dignità,quella dignità che tutti i giorni in ogni
momento nel letto di un ospedale o il
letto, più familiare, della propria casa si viene colpiti………tutto nasce e tutto muore……questa equazione di vita, è
come la matematica, non è un opinione…….ma la dignità di morire come meglio si
crede, dovrebbe essere un diritto al quale nessuno dovrebbe interferire,
neanche la Morte. …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… In italia ci sono circa 700.000 persone
sofferenti del morbo di Alzheimer , la scienza prima o poi si auspica che
arrivi a trovare delle cure , nel frattempo preoccupiamoci di dare maggiore
dignità al malato e alle loro famiglie…….................................................................................................................. Grazie e
scusatemi se questa volta l’emozione che
volevo darvi si è trasformata in dolore per alcuni di voi amici lettori.
Scritto e vissuto da Pino Gogiali
Ciao, ho letto questa tua storia veramente mi ha dato tanto dolore e compassine verso le difficoltà scoraggiamento.
RispondiEliminaLa forza di chi combatte nonostante tutto. Nonostante i pronostici siano avversi.
Carmela!