lunedì 24 settembre 2012

oooooooohhhhh !!!!!!!!!!!!



Nei primi anni 60, quando il boom economico entrò nelle case degli italiani,le famiglie,  prese dall’euforia di quell’epoca, scoprirono che i fornitori dimostravano maggior fiducia nel dare loro credito. Ricordo che dal salumiere , da bambino,  andavo a comprare il pane, o altri piccoli acquisti,  e potevo dire al sor Antonio        ( questo era il suo nome) “poi passa mamma! ”, lui prendeva un quadernetto nero  e scriveva il debito contratto.
Oggi è praticamente impossibile, ci viene da ridere al solo pensarci;  eppure questa usanza ormai superata  mi ricorda quando in quel tempo , oltre al salumiere, si poteva adottare un sistema di pagamento rateale, per l’acquisto di vestiti ,  indumenti intimi, scarpe, e anche lenzuola , coperte,  tovaglie…dove? Ai grandi magazzini, da noi a Roma c’era la MAS, l’UPIM, la RINASCENTE, questi negozi così  grandi , confrontati  a quelli che riempivano le strade dei nostri quartieri, erano la vera novità di quei tempi. E  noi in famiglia, prima delle feste natalizie , approfittavamo  delle convezioni che queste società offrivano, per poter acquistare tutto ciò che poteva servire, oltretutto,  grazie a quelle facilitazioni, l’acquisto veniva diluito in rate che andavano  a ridurre la busta paga di mio padre.
Ancora una volta la mia memoria mi trasporta in questo sogno incredibile che è la vita.
Per arrivare ai grandi magazzini, i più vicini a noi, era necessario prendere il tram,e proprio da lì voglio iniziare…perché  per noi bambini salire a bordo di questi cavalli di ferro era un’emozione che allargava i nostri cuori in un misto di paura e di curiosità, ci attaccavamo al collo della mamma, e guardavamo da vicino il signore con i baffi , o il cappellino della signora. Finalmente potevamo guardare le persone negli occhi, io ricevevo sempre dei complimenti per via del mio particolare colore delle pupille , i complimenti si sprecavano, e anche mia madre riceveva apprezzamenti, specie da chi portava i baffi, anche allora c’erano i  pappagalli. I tempi non sono cambiati, o forse sarebbe meglio dire che gli uomini non sono cambiati,ma tornando alle emozioni vissute, quello che maggiormente mi è rimasto impresso è l’odore della lana, cotone, cuoio e la musica di sottofondo ,penetrando all’ingresso di questi grandi negozi.
I bambini venivano messi a terra e presi per mano, con la raccomandazione di non allontanarsi assolutamente. Per noi tutta quella gente che si muoveva chi a destra  e chi a sinistra era di una confusione tale che si diventava seri e imbronciati, come uomini grandi, le nostre espressioni si trasformavano da bambini innocenti a bambini scontenti.  La  gente  ti urtava  e cominciavi a imparare cosa significasse guardare davanti a te,voleva dire semplicemente stare attenti  a dove si andava  a sbattere… ma era impossibile per noi bambini essere attenti, venivamo distratti da tutto quello che per noi era la novità, cioè praticamente  tutto.
Tutto è una parola grande, che oggi facciamo attenzione a pronunciare , è un po’ come giocare a carte e dire “voglio tutto il piatto”…un azzardo, tutto si chiede alla donna che si ama, a colei che incontri per la prima volta nella tua vita…..anche questo è un azzardo, ma come da innamorato è lecito chiedere tutto, da bambino è un obbligo chiedere di  vedere. …tutto . Ogni cosa mi colpiva , dalle tante camicie colorate alle scarpe tutte in fila, per non parlare dei calzini, tutti incartati con carta trasparente, e così alla portata di mano che era impossibile non desiderare di sfilarli dal loro involucro, così liscio e rumoroso, era come mangiare una patatina croccante, poi ad un certo punto,arriva va il pezzo forte, quello che ti lasciava a bocca aperta,quella cosa che ti faceva  dire …ohhhhhhh…… le scale mobili, che insieme alla voce di Celentano che cantava …24000 baci… battevano a tempo di musica i  loro gradini che scomparivano inghiottiti dal pavimento, voglia  di salire, paura di essere anche noi portati via insieme ai gradini, stretti dalla mano sicura di nostra madre,che anche lei , se pur non voleva dimostrarlo, temeva quel marchingegno,e lo sentivi dalla pressione con la quale premeva la mia povera manina, era allora che tiravo la sua mano affinchè  mi portasse lì dove si trovava quella mangia gradini, era lì che volevi tutto, la sensazione di salire senza muovere le gambe, attaccati a una ringhiera che sembrava non riuscire a rincorrerti, e improvvisamente ti ritrovavi con una parte di te che saliva e una parte che ti tratteneva, quasi a cadere. L’istinto faceva il resto:  mollavi la presa e ti aggrappavi al corrimano per riprendere il corpo che intanto si avvicinava al termine della corsa, e una voce ti diceva :”adesso salta”, ma il più delle volte cadevi , ti rialzavi, e con un gran sorriso dicevi :”ancora!ancora”,   mentre il profumo del Natale che si avvicinava ti rallegrava e ti ricordava che dovevi essere bravo e buono. 
Oggi ci sono i centri commerciali , solo vagamente somiglianti  a quei grandi negozi che una volta si chiamavano grandi magazzini, in queste città che appartengono al presente, ma realizzate con criteri futuristici, trovi ugualmente famiglie, ragazzi, gente sola, tanta gente sola, forse è questa la più grande differenza che ci divide tra quei tempi da noi vissuti e quelli che ancora cavalchiamo. A parte la mancanza di credito che attanaglia le persone e  la nostra precaria situazione finanziaria, manca la fiducia nel prossimo, è questa la grande differenza tra gli anni 60 e quelli che viviamo oggi…ma questa è una cosa nota ormai a tutti .
Forse una cosa poco nota è che noi sapevamo dire a voce alta ….ohhhhhh… oggi lo pensiamo , ma  non siamo più capaci di pronunciarlo.                                                                                                                                                                             
scritto e vissuto da Pino Gogiali

mercoledì 19 settembre 2012

LADRA DI MEMORIA



“Sai che oggi ho preso il bus e sono scesa 2 fermate dopo?”
“Eri distratta”
“No,  non ricordavo dove era il tuo negozio”
“Ma come non ricordi ? Stavi con la testa altrove? Ma dimmi ci sono problemi?”
“No,  è che mi sento stanca come se fossi confusa, mi dimentico le cose,  non ricordo mai niente, sarà l’eta”
“Ma no , sei sempre stata così, sempre assorta nei tuoi pensieri, vai a passare qualche giorno da tua sorella, vedrai che starai meglio, ti accompagno io”
“No,non voglio vedere nessuno.”
 Erano i primi anni 90,mia madre si avvicinava ai 70 anni, io preso dalla mia attività avevo poco tempo da dedicarle, inoltre era più che autosufficiente, ormai da anni aveva superato la perdita di mio padre, e si era abituata a vivere da sola.
Un giorno mi arrivò una chiamata di una persona amica, che m’informava degli  strani comportamenti di mia madre, come uscire dal negozio senza pagare  o non rispondere al saluto. Per farla breve, il medico curante disse che si trattava di arterio sclerosi prematura. L a realtà era che in quegli anni pochi conoscevano quella malattia , che oggi, invece,  tutti conoscono con il nome di Morbo di Alzheimer.
Non voglio usare termini medici nè risvolti umani generalizzati  alle conseguenze di questa malattia, come sempre vi parlerò della mia memoria, e di quello che sono le sensazioni provate in quei lunghi  7 anni, facendo ricorso a quello che la mia memory card del cuore registrò.  “Chi sei tu?” “Mamma sono io, sono Pino tuo figlio” “Mio figlio Roberto?” “No,  tuo figlio Pino” “Pino? Mah”
Tutte le volte che  l’avvicinavo mi sentivo ferito, e ogni volta che accadeva  ritornavo ragazzino, e una sorta di rassegnazione difensiva s’impadroniva di me , quella stessa difesa che da ragazzo avevo adottato, … ma che mi importa……ma non ero più un ragazzo, ero un uomo vissuto, un uomo che già poteva raccontare la sua vita, eppure  tornavo indietro nei  miei tormenti giovanili , anni nei quali sentivo che le sue attenzioni  erano più per mio fratello che per me, anche nella malattia era così,  non era cambiato niente  in quel momento, preferiva  lui  a me. Oggi mi rendo conto che il solo fatto che mio fratello le dedicasse più tempo era  per lei motivo di abitudine al suo volto, e che nella sua limitata memoria non c’era spazio per me. Passare quelle poche ore con lei era come parlare con un bambino, e mi colpiva molto questa sua ricerca dei termini adatti nel rappresentare ciò che voleva dire. Nell’indicare  un aereo che passava  era consapevole che tale fosse, ma non ricordava la parola, e lo chiamava uccello, forse a lei era più facile,forse volare come un uccello era quello che desiderava, volare via lontano dal mondo reale, allontanarsi per  sempre da tutto, consapevole di non perdere la sua dignità, e viaggiare in un mondo che da lì a breve avrebbe accolto i suoi sogni, le sue parole, quelle che non riusciva più a proferire, un mondo dove non si deve mangiare, non ci  si deve vestire, dove non si parla , ma si sorride attraverso una foto lasciando ricordare i momenti belli vissuti assieme.
 Mentre il tempo passava,passava anche quella poca luce che era rimasta nei suoi occhi, e io di nuovo la cercavo, la cercavo dentro la sua anima, nella speranza di trovarla nascosta in un piccolo angolo, dove le pareti dei muri rialzati non permettevano la vista di quella piccola e timida fiammella, che tenuta nascosta avrebbe potuto illuminare anche il mio viso, per poter vedere nel suo sguardo spento  quella tenue luce, alla quale avrei aggiunto io le parole…mamma….e sperare di sentirmi rispondere……Pino, figlio mio…….Man mano che il tempo passava per me, sempre più rallentava per lei, fino a fermarsi completamente, in una sorta di play off, con un tempo non definito, ma che da lì a poco avrebbe ripreso, e che come in una partita sportiva  ci si  aspettava di terminare l’incontro per porre fine a quella brutta sconfitta.
Sconfitta indegna , contro un avversario inesorabile che continuava a colpirti, anche quando eri a terra, annientando ogni sorta di dignità, colpendo anche quando chiedevi  pietà, lasciami finire la partita con un minimo di onore, e per risposta ,  di nuovo colpiti ,sempre di più fino a farti scendere nel più disonorevole abbandono, gettare la spugna ,niente da fare, con un calcio la spugna era fuori dal ring, chi se ne sarebbe dovuto accorgere,non aveva visto il colpo di piede che questa terribile malattia aveva dato a quella spugna da te invocata. Dio non può vedere tutto, Dio non sa cosa significa per un ragazzo lavare la mamma nuda, pulirla nell’intimo del suo corpo, mettergli una cannuccia per farla bere, aspettando che attraverso il respiro, unica volontà autonoma, le permettesse  di idratarsi. Quando ho detto ragazzo è perche in quei momenti ero tornato indietro nel tempo,volevo sentirmi ragazzo e dare a lei quello che non avevo dato prima, ma l’uomo dentro quel ragazzo era presente e sempre vigile, e lottava  contro quel  nemico che non  senza tregua, anche se  da li a poco avrebbe tolto anche il ricordo del respiro. Era finita, il massacro era terminato,e con esso finalmente tornava la dignità di un corpo che si apprestava  a volare verso quel posto,dove non c’è bisogno di parlare ,mangiare ,vestirsi, lavarsi, basta fare un sorriso su di una foto,e la dignità ritorna come d’incanto,e ti accorgi che in fondo poteva finire prima e che tutte le sofferenze patite e fatte patire, potevano essere evitate, semplicemente lasciando che salisse sulle piume di quell’uccello che ancora riusciva a descrivere per  trasformarlo in un pensiero poetico, dal quale noi discendiamo e che ci distingue dalle altre speci.
 Questa terribile esperienza mi ha segnato nell’animo  e nella fede, ma mi ha reso più forte alla morte, tanto da non temerla, mi ha reso un guerriero che lotta contro questo terribile destino, lotto contro di essa pur sapendo di capitolare ogni qual volta ne vengo colpito, e svariate volte sono stato abbattuto, il pensiero  e il ricordo di mia suocera è dentro la mia anima. Lasciò anche lei in un sconforto di lacrime la sua famiglia ma io non cedetti  le armi , la mia rabbia non mi permise di versare una sola lacrima alla ingloriosa uscita di scena  così rapida….rapida  come certi mali che conosciamo bene e da molto tempo, la sua dignità l’ho difesa  con tutto me stesso, lottando contro quel male con l’impegno appunto di un guerriero, che seppur a conoscenza della sua prossima sconfitta non cedeva  le armi e l’onore davanti a tanto disfacimento….questo è ormai diventato il mio modo di difendere  i  valori di quelle persone a me care e che oggi vedo sorridenti attraverso una fotografia, rabbia ! questo è ciò che mostro alla morte, il dolore e le lacrime di sangue  sono chiuse e sigillate dentro il mio cuore, e lei  non può goderne, solo così difendo la loro dignità,quella dignità che tutti i giorni in ogni momento  nel letto di un ospedale o il letto, più familiare, della propria casa  si  viene colpiti………tutto nasce  e tutto muore……questa equazione di vita, è come la matematica, non è un opinione…….ma la dignità di morire come meglio si crede, dovrebbe essere un diritto al quale nessuno dovrebbe interferire, neanche la Morte.            ……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………  In italia ci sono circa 700.000 persone sofferenti del morbo di Alzheimer , la scienza prima o poi si auspica che arrivi a trovare delle cure , nel frattempo preoccupiamoci di dare maggiore dignità al malato e alle loro famiglie…….................................................................................................................. Grazie e scusatemi  se questa volta l’emozione che volevo darvi si è trasformata in dolore per alcuni di voi amici lettori.
Scritto e vissuto da Pino Gogiali