Uscivi di casa, la mattina, per andare a scuola e trovavi i finestroni delle scale del palazzo completamente
spalancati. Quegli occhi aperti al mondo
filtravano aria di primavera e il
zinzilulare delle prime rondini, e per contrasto dalla tromba delle scale
saliva l’odore acre dell’immondizia. I monnezzari
(oggi operatori ecologici) svuotavano nei loro sacchi di iuta i rifiuti che
ogni famiglia lasciava all’esterno della propria abitazione, ed il loro passaggio era contraddistinto da questi odori
forti.
Ti ritrovavi in strada,
confuso tra la moltitudine di mamme e figlioletti che si recavano a
scuola….i maschietti con il loro grembiulino blu dal colletto bianco, una vera tortura
di plastica, e l’immancabile fiocco, per
qualcuno reso tronfio dall’amido, per altri semplicemente piangente.
Quella che oggi qualche giovane avvocato alla moda si
trascina dietro da un’aula di tribunale all’altra, e che magari gli è costata
un occhio della testa, per noi era l’odiosa cartella in cuoio marrone per la scuola. Dentro, un sussidiario, un
astuccio di legno –spesso usato dalle maestre come deterrente per i bimbetti
più irrequieti- e qualche quaderno.
Lungo il tragitto che si percorreva per andare a scuola, ti
accorgevi che i negozi avevano già
aperto: l’elettricista, il macellaio, l’orologiaio, pizzicherie e panetterie, e
il bar, poco frequentato e, tra quei
pochi, esclusivamente uomini...Oggi è diverso: le mamme portano i figli a
scuola in suv , e se è il caso si fermano a fare colazione al bar….ma a quei tempi era praticamente impensabile, e
la parità dei sessi era pressoché ignara
ai più.
Si attraversava la strada, facendo attenzione alle
(poche)macchine in circolazione, si arrivava davanti al cancello, e si
aspettava il suono della campanella…
Una volta in classe, ci si trovava ad affrontare quella che
oggi era una triste realtà per noi bambini: una ferrea
disciplina, retaggio di una mentalità ottusa e falsamente educativa, i cui
metodi impositivi non incoraggiavano i più deboli e insicuri ad emergere e,
anzi, premiando i “bravi”-sostanzialmente i preferiti dalla maestra- inducevano
gli altri alla sottomissione totale.
Ossia, a quella chiusura che marchiava l’alunno come
disadattato, anzichè come un bambino
semplicemente timoroso e schiacciato dal clima che la maestra creava all’interno
della classe.
L’uscita rappresentava per noi bambini l’incontro con il mondo
esterno, con i suoi suoni e colori, quell’aria del mattino che da fresca, ora, era
calda e con profumi diversi…e quel camminare mesto della mattina, diventava
allora un’orgia sfrenata di ragazzini schiamazzanti e scatenati, improvvissamente
lontani anni luce dalle facce cupe delle maestre. Quelli che venivano marchiati come disadattati e problematici in classe, per strada diventavano i capitani
di squadrette di calcio improvvisate al momento….le porte delimitate dalle cartelle di cuoio marrone, il pallone che,
spesso sgonfio, spuntava fuori miracolosamente chissà da dove, e senza tattiche di gioco né arbitro, sette o
otto scalmanati si buttavano tutti
insieme su quella palla, tirando calci dove capitava, per puro divertimento.
Il calore della primavera e le corse sfrenate trasformavano la nostra
tortura di plastica al collo in vera e propria agonia, cosicchè immancabilmente
quello che, al mattino, appariva come un
perfetto fiocco inamidato, era diventato un groviglio sgualcito e informe di
nodi , e i grembiuli da blu diventavano chiazzati di terra e polvere.
Sapevamo quello che ci aspettava una volta a casa, ma questo
non ci impediva di sporcarci né di sbucciarci le ginocchia…. Chi dalla strada,
chi dalle finestre di casa propria, ogni mamma richiamava a modo suo il proprio
figlio per il pranzo…il più delle volte, quasi sempre direi, con la
minaccia-sempre efficace- che stava per arrivare papà.
Quella volta, la minaccia dell’arrivo del papà, ossia dell’uomo
di casa, rappresentava un pericolo per il disobbediente: il padre, l’uomo, arrivava,
si sedeva a tavola, e veniva servito dalla propria moglie per il pranzo. Un re?
Un imperatore? Un despota? Il capo, insomma, colui che tiene le redini della famiglia.
Colui che portava i pantaloni e che, per questo, meritava il
massimo rispetto.
Oggi, molte di queste cose non esistono più; alcune, bisogna
ammetterlo, sono cambiate in meglio. Non ci sono più maestre despote, ma ho il
rammarico, quando vedo i miei figli, di pensare che loro non hanno vissuto
questi stati d’animo tipici della nostra infanzia…così come non possono
arricciare il naso ai cattivi odori dell’immondizia lasciata per le scale, allo
stesso modo non possono respirare a pieni polmoni il profumo di una primavera
che non c’è più…
Mentre la nostra ribellione si manifestava correndo dietro a
un pallone sgonfio e facendo sgolare le nostre madri che ci richiamavano a
casa, oggi la ribellione dei giovani diventa un problema di natura sociale.
Basterebbe, forse, riassaporare il profumo delle nostre
primavere, e farlo conoscere ai nostri figli.
Autore: Pino Gogiali