martedì 29 maggio 2012

IL PROFUMO DELLE NOSTRE PRIMAVERE



Uscivi di casa, la mattina, per andare a scuola e trovavi  i finestroni delle scale del palazzo completamente spalancati.  Quegli occhi aperti al mondo  filtravano aria di primavera  e il zinzilulare delle prime rondini, e per contrasto dalla tromba delle scale saliva l’odore acre dell’immondizia. I  monnezzari (oggi operatori ecologici) svuotavano nei loro sacchi di iuta i rifiuti che ogni famiglia lasciava all’esterno della propria abitazione, ed  il loro passaggio era contraddistinto da questi odori forti.
Ti ritrovavi in strada,  confuso tra la moltitudine di mamme e figlioletti che si recavano a scuola….i maschietti con il loro grembiulino blu dal colletto bianco, una vera tortura di plastica,  e l’immancabile fiocco, per qualcuno reso tronfio dall’amido, per altri semplicemente piangente.
Quella che oggi qualche giovane avvocato alla moda si trascina dietro da un’aula di tribunale all’altra, e che magari gli è costata un occhio della testa, per noi era l’odiosa cartella in cuoio marrone  per la scuola. Dentro, un sussidiario, un astuccio di legno –spesso usato dalle maestre come deterrente per i bimbetti più irrequieti- e qualche  quaderno.
Lungo il tragitto che si percorreva per andare a scuola, ti accorgevi che i negozi  avevano già aperto: l’elettricista, il macellaio, l’orologiaio, pizzicherie e panetterie, e il bar, poco  frequentato e, tra quei pochi, esclusivamente uomini...Oggi è diverso: le mamme portano i figli a scuola in suv , e se è il caso si fermano a fare colazione al bar….ma  a quei tempi era praticamente impensabile, e la parità dei sessi  era pressoché ignara ai più.
Si attraversava la strada, facendo attenzione alle (poche)macchine in circolazione, si arrivava davanti al cancello, e si aspettava il suono della campanella…
Una volta in classe, ci si trovava ad affrontare quella che oggi era una triste realtà per noi bambini: una ferrea disciplina, retaggio di una mentalità ottusa e falsamente educativa, i cui metodi impositivi non incoraggiavano i più deboli e insicuri ad emergere e, anzi, premiando i “bravi”-sostanzialmente i preferiti dalla maestra- inducevano gli altri alla sottomissione totale.
Ossia, a quella chiusura che marchiava l’alunno come disadattato,  anzichè come un bambino semplicemente timoroso e schiacciato dal clima che la maestra creava all’interno della classe.
L’uscita rappresentava per noi bambini l’incontro con il mondo esterno, con  i suoi suoni e colori, quell’aria del mattino che da fresca, ora, era calda e con profumi diversi…e quel camminare mesto della mattina, diventava allora un’orgia sfrenata di ragazzini schiamazzanti e scatenati, improvvissamente lontani anni luce dalle facce cupe delle maestre. Quelli  che venivano marchiati come  disadattati e problematici  in classe, per strada diventavano i capitani di squadrette di calcio improvvisate al momento….le porte delimitate dalle  cartelle di cuoio marrone, il pallone che, spesso sgonfio, spuntava fuori miracolosamente chissà da dove,  e senza tattiche di gioco né arbitro, sette o otto scalmanati  si buttavano tutti insieme su quella palla, tirando calci dove capitava, per puro divertimento.
Il calore della primavera  e le corse sfrenate trasformavano la nostra tortura di plastica al collo in vera e propria agonia, cosicchè immancabilmente quello che, al mattino, appariva come  un perfetto fiocco inamidato, era diventato un groviglio sgualcito e informe di nodi , e i grembiuli da blu diventavano chiazzati  di terra e polvere.
Sapevamo quello che ci aspettava una volta a casa, ma questo non ci impediva di sporcarci né di sbucciarci le ginocchia…. Chi dalla strada, chi dalle finestre di casa propria, ogni mamma richiamava a modo suo il proprio figlio per il pranzo…il più delle volte, quasi sempre direi, con la minaccia-sempre efficace- che stava per arrivare papà.
Quella volta, la minaccia dell’arrivo del papà, ossia dell’uomo di casa, rappresentava un pericolo per il disobbediente: il padre, l’uomo, arrivava, si sedeva a tavola, e veniva servito dalla propria moglie per il pranzo. Un re? Un imperatore? Un despota? Il capo, insomma,  colui che tiene le redini della famiglia.
Colui che portava i pantaloni e che, per questo, meritava il massimo rispetto.
Oggi, molte di queste cose non esistono più; alcune, bisogna ammetterlo, sono cambiate in meglio. Non ci sono più maestre despote, ma ho il rammarico, quando vedo i miei figli, di pensare che loro non hanno vissuto questi stati d’animo tipici della nostra infanzia…così come non possono arricciare il naso ai cattivi odori dell’immondizia lasciata per le scale, allo stesso modo non possono respirare a pieni polmoni il profumo di una primavera che non c’è più…
Mentre la nostra ribellione si manifestava correndo dietro a un pallone sgonfio e facendo sgolare le nostre madri che ci richiamavano a casa, oggi la ribellione dei giovani diventa un problema di natura sociale.
Basterebbe, forse, riassaporare il profumo delle nostre primavere, e farlo conoscere ai nostri figli.
Autore: Pino Gogiali

venerdì 18 maggio 2012

UNA GIORNATA AL MARE



La vita, durante la settimana, di una famiglia come la mia, era assolutamente normale, quasi banale, direi.
Scuola e giochi per noi bambini, spesa e faccende per la mamma casalinga, e lavoro per il papà capofamiglia. Ma a metà settimana, si cominciava a progettare quello che, improvvisamente, per noi bambini, sarebbe diventato un evento, l’evento: la gita al mare.
Il mare di Roma è Ostia. I romani andavano, e vanno ancora oggi, a  Ostia. E noi, quindi, andavamo a Ostia. I più fortunati, come me, avevano il privilegio di andare in macchina, gli altri, invece, utilizzavano il trenino.
Ma la trepidazione, l’ansia, di noi bambini, per quella giornata in cui ci saremmo scatenati, era uguale per tutti, motorizzati e non.
La sera prima dell’evento (io lo ricordo così)non si dormiva. L’eccitazione era al massimo. Noi bambini preparavamo le nostre cose, ossia il secchiello, la paperella, la paletta, le formine….Si infilava il tutto nella borsa di rafia della mamma…c’era il mio mondo, lì dentro! Oggi le borse sono all’ultima moda, e dentro ci trovi occhiali da sole, cellulari e creme solari….Nella borsa di mia madre, al massimo,  c’era la sua rivista preferita! Noi bambini eravamo in fibrillazione, fin dalla sera prima….il desiderio dell’acqua, degli strilli, delle buche e dei castelli di sabbia, era troppo anche per pensare lontanamente di dormire!
Anche gli adulti si preparavano. Mia madre era alle prese con la frittata (piatto tipico da mare di quegli anni), i formaggini, le barrette di cioccolata (sottili sottili! Non c’era benessere)da infilare nel panino, e papà beh…papà stava a guardare, a lui il compito gravoso della guida.
Alla partenza, tutti dentro alla 600 Multipla. I bambini dietro, ovviamente, la mamma vicino al papà che, per l’appunto, era alla guida.
Il viaggio era allucinante, anche per noi motorizzati. Niente aria condizionata,solo finestrini aperti, e due ore trascorse dentro a un forno incandescente , la nostra macchina. Uno o due chilometri prima si intravedeva  la linea del mare all’orizzonte la domanda, sempre la stessa, arrivava puntuale:”Papà, ma il mare è calmo o è mosso?” Dietro questa richiesta, si nascondeva la speranza del mare calmo, per stare ore dentro l’acqua, o il terrore che fosse mosso, il che significava “niente bagno!”.
E la risposta era anche lei sempre la stessa:”E’ calmo”. Come facesse a saperlo, ancora oggi non si spiega, vista la distanza. Come facessimo noi a credergli, anche quello ancora oggi non si spiega.  La realtà è che la nostra domanda era proprio stupida, perché nascondeva il desiderio che lui ci rassicurasse, e infatti lui sempre ci rassicurava. Quella frase, “è calmo”, significava semplicemente che potevamo fare il bagno.
All’arrivo, in genere, si andava al solito Cral aziendale,  si prendeva possesso della cabina, e i primi dediti alla “svestizione” eravamo noi piccoli. Aperta la porta della cabina, una ciurma di diavoli si lanciava alla conquista della sabbia, mentre l’odore della sabbia, del mare, e della vernice fresca delle cabine a inizio stagione trasformava il nostro entusiasmo in ricordi e sensazioni  future.
Dopo il primo entusiasmo, subentrava una certa timidezza….qualche bambina che ti guardava, e allora ti rendevi conto della tua pelle ancora bianca, del costumino striminzito, degli schiamazzi esagerati…..e allora, con il peso di quella timidezza, si chiedeva alla mamma di darci la mano, per farsi un po’ di coraggio…
Il ritorno a casa era segnato dal calore della pelle arrossata, dall’odore acre della salsedine, e dalla voglia di lavarsi!  E, nonostante il lavaggio parziale nel  lavandino ( erano in pochi a possedere una vasca da bagno), qualche granello di sabbia nel letto ci graffiava la pelle delicata e provata dal solleone. Sotto i piedi, ancora la sensazione dell’acqua che ti circondava le caviglie con il suo  arrivare veloce e il suo altrettanto veloce ritrarsi.
Erano gli anni sessanta. L’Italia guardava al futuro con ottimismo. Noi, bambini inconsapevoli, ci curavamo solo di sognare la prossima gita al mare. Il secchiello. L’acqua salata. La Multipla. La frittata… Era un’Italia piena di ottimismo, si poteva sognare e sperare in un futuro migliore.
Oggi,  qualcuno ci ha privato di questo futuro. Ci è difficile immaginare, sognare, progettare. Non solo il futuro, ma anche una gita al mare, sperando che sia calmo…
Ci chiedono, invece, di tornare indietro, a pane e frittata e finestrini aperti,in verità io ne sarei molto felice, perche è sottinteso che mi toglieranno anche 50 anni…..o no?
Autore: Pino Gogiali