Il volto
scarno, i ricci che sovrastavano quegli occhi slavati, facevano un tutt’uno con
quel cielo azzurro e quell’aria fresca del mattino, dove quel piccolo paese di
montagna accoglieva il mio amico Umberto
che, come me, arrivava dalla città passare le vacanze dai propri nonni. Lo
stupore e la gioia di quell’incontro rallegravano le nostre vacanze, e il
saluto fragoroso si ripeteva ogni anno.
Umbertino… il mio amico preferito, colui con il quale ho
vissuto tante avventure infantili e adolescenziali, era più grande di me, ma
nonostante la differenza di due anni, che a quell’età non è poco, non aveva mai
manifestato questa superiorità; solo mia madre, quando uscivamo fuori da i
confini della sua vista, chiamava Umberto per ricordargli le sue responsabilità
nei miei confronti, visto che ero più piccolo, al che Umbertino -assumendo una
voce autorevole e dando del tu a mia madre- rispondeva “ tranquilla Albertì, lo
guardo io “.
Niente di vero, semmai
il contrario, lui indiavolato e spericolato, io più saggio nel metterlo in
guardia.
Nonostante i 43 anni che sono passati dall’ultima volta che
ci siamo salutati, il ricordo di questo giovane amico, che ricordava nelle
fattezze e nei modi i ragazzi di tanti film americani degli anni 50, un po’ Rin
tin tin, e un po’ Lassie per intenderci, ha lasciato in me tantissimi ricordi,
e di certo avrei avuto piacere a incontrarlo di nuovo, ma ahimè, le nostre
nonne non ci sono più, e nemmeno i nostri genitori, l’unico anello di giunzione
con quel piccolo paese che d’estate si popolava di villeggianti, sono i miei
ricordi, e forse i suoi…… ma non è detto che debba necessariamente ricordare
quel ragazzino di nome Pino.
Certo che sarebbe bello ritrovarci, e ricordare quando si
correva su di un muretto di 30 cm. facendo attenzione a non cadere sotto un
dirupo, o quando ci si faceva il bagno dentro uno stagno di acqua sporca e
gialla, dove i piedi affondavano nel fango sottostante che sembrava volesse
inghiottirti, oppure salire su gli alberi e mangiare frutti a sazietà senza
badare se assieme alla mela mangiavi un ragno o una formica, raccogliere more e
tornare a casa pieni di graffi causati dai rovi. Questo eravamo noi ragazzini
di quel passato, oggi assolutamente impensabile per i figli o nipoti dei nostri
tempi . Molte volte mi sono chiesto perche mai alla mia età io abbia ancora
cosi vivi in me i ricordi della mia infanzia e di come eravamo da ragazzini…si
tratta forse della paura d’invecchiare?
Nostalgia di un tempo
che non può tornare?
O semplicemente malinconia di un cuore infelice? Sono domande
alle quali tante volte ho cercato risposta, ma ognuna delle risposte
precedenti, non mi appartiene, sono in pace con la mia età, vivo la mia vita
serenamente, la malinconia la considero un dono, eppure qualcosa sento che mi è
stato tolto.
Pochi mesi fa ho miracolosamente trovato parte di queste
risposte, ma quello che è incredibile, è che queste risposte le ho ricevute sotto le vesti di un volto
familiare, meno scarno di un tempo, un po ingrigito, ma con la stessa voglia di
vivere che aveva 43 anni fa. Sto parlando di Umberto, naturalmente, che, per pura casualità, complice una nostra comune
amicizia, ho potuto ritrovare, e tra lo stupore preceduto da una telefonata e il
relativo appuntamento, è stato come se
fosse passato un solo anno dall’ultima volta, come quando ci si rincontrava al
paese per le vacanze; ma la cosa sensazionale è che anche lui non ha mai
dimenticato quelle corse sui prati, quell’acqua gelida di montagna che faceva
male ai denti, ma bene al cuore, come non ha dimenticato il suo amico Pino, nè
quelle grandi fette di pane antico che le nostre nonne ci tagliavano, e
coprivano di zucchero.
Anche lui, come me, convive con tutti questi ricordi, anche
lui sente i profumi di quei momenti, i volti e i nomi dei nostri cari, persone
con le quali abbiamo percorso un tratto importante della nostra vita.
Da oggi avremo modo di parlare del nostro passato, del tempo
che abbiamo vissuto da quando è avvenuto il nostro ultimo incontro, anche se,
come dice lui, il tempo non è mai passato, perchè sapevamo che prima o poi ci
saremmo rivisti per le vacanze estive di fine anno.
C’è una vecchia leggenda Giapponese, che racconta di un filo
rosso invisibile che lega certe persone per tutta la vita e oltre, anche
persone che non si sono mai conosciute come se fossero state sempre vicine, e
non c’è un limite di tempo affinchè questo avvenga, perche è un destino scritto
sopra un cielo azzurro… in questo caso, il destino mio e quello di Umberto era scritto sopra un
cielo di un piccolo comune di montagna,dove le nostre origini albergano, e dove
alberi che parlano, ci hanno visto ingenui bambini che non dimenticheranno mai
quel filo rosso che li unisce.
Bentornato Umberto
scritto da Pino Gogiali