mercoledì 24 ottobre 2012

CIAO FRANCESCA



CIAO  FRANCESCA

Fu  proprio mentre entravo in quel corridoio silenzioso che mi assalirono i primi dubbi, era giusto oppure stavo invadendo il suo ricordo, la sua intimità, che se pur breve….solo 15 anni, era pur sempre una vita fatta di ricordi, di sorrisi, del calore della sua famiglia……… la famiglia?
 In quel’aprile di tanti anni fa il sole tardava a fare la sua apparizione,  lasciando che l’inverno si dilungasse oltre il dovuto, il terreno bagnato e l’asfalto da poco steso  parlavano ai pneumatici della mia macchina, che,  ad andatura lenta,  percorreva la strada che immetteva direttamente agli edifici dove riposavano coloro che non sono più tra noi.
 L’odore dei fiori nell’abitacolo inebriava i miei sensi e mi dava  la giusta euforia per combattere la tristezza che le visite periodiche insinuavano nella mia anima. Con due mazzi di fiori tra le mani mi avviai verso l’androne a me ormai familiare, e le considerazioni che feci riguardo alla famiglia di lei scomparvero nello stesso momento in cui alzando gli occhi verso quest’ultima fila di riquadri, mi resi conto che la tomba di Francesca era,  come sempre,  sprovvista di fiori. Ogni scrupolo scomparve e , ancora prima di prendermi cura della tomba di mio padre,  fui preso dal desiderio di abbellire quella lapide che da poco il Comune di Roma , a proprie spese, aveva allestito.
Finalmente dopo un anno  c’era una immagine che mostrava la ragazza poggiata su di un muretto con indosso una tenuta da neve, il sorriso tipico di quell’età, occhi scuri, capelli neri e lunghi, molto probabilmente una delle ultime foto fatte quel’inverno del 1981 ,quando non poteva immaginare che quella sarebbe stata la sua ultima stagione vissuta.
Sul davanzale di quella lapide si trovavano delle letterine con su scritto “a Francesca”,  dalla calligrafia infantile, e, a conferma che quei pensieri imbustati erano stati scritti da bambini, c’erano delle piccole statuine che raffiguravano animaletti con colori che solo la fantasia infantile è in grado di produrre.
Adesso si poteva leggere la data di nascita e vedere quel volto sorridente.
Io, salito sulla scala, misi i primi fiori che avevo appositamente acquistato, tolsi la polvere e le solite ragnatele che si formavano agli angoli di quei loculi, facendo le stesse cose che ormai da un anno  facevo a mio padre. L’unica differenza è che con mio padre parlavo, mentre con lei, con Francesca, no. Non ci riuscivo, forse per timidezza, forse per pudore, o forse perché temevo di ascoltare la sua tristezza. E ne aveva ben ragione: morire a 15 anni, dopo chissà quali peripezie e dolori, si ha ben  ragione di urlare il proprio sconforto.
 Inutile dire che la curiosità di conoscere quella storia che aveva fatto nascere in me il desiderio di sapere il perché una ragazzina di 15 anni prematuramente scomparsa non aveva avuto i giusti onori che un evento simile scatena, era molto forte. Nessun familiare, nessun amico o amica, nulla. Il disinteresse verso quella ragazzina aveva svegliato in me il bambino dormiente che ognuno di noi possiede, e quel bambino si era avvicinato a lei e, come in una sorta di solidarietà infantile, manifestava la sua presenza con fiori e, a volte, con brevi pensieri, oltre alla visita periodica e alla cura per il loculo dove era deposta.
 Il destino volle che da lì a poco tempo le mie domande trovassero alcune risposte. Una mattina mi avviai per entrare nell’androne dove i loculi di mio padre e di Francesca erano ubicati e, davanti a loro, erano presenti due donne ben curate, di mezza età, e tre piccoli bambini che si tenevano per mano. Le donne parlavano cordialmente tra loro, mentre i bambini, con gli sguardi al cielo e le mani unite, guardavano Francesca. Mi feci coraggio e chiesi alle due donne se fossero parenti. Loro, con imbarazzo, risposero :”No, ma è come se lo fossimo” . Di nuovo chiesi, con un sorriso cordiale :”In che senso?”.
La risposta fu leggermente velata da una smorfia di inquietudine, che costrinse le due donne a scoprire la loro identità. “Siamo le responsabili della casa famiglia…” Non chiesi altro, non volevo sapere, né  perché né per come e in che modo Francesca fosse lì. Non chiesi se quei tre bimbi fossero i fratellini o, più semplicemente, dei bambini con i quali lei aveva diviso la sua sfortunata storia. Avrei potuto approfondire, sapere di più, avrei persino potuto guardare dentro le letterine lasciate dai bambini sul davanzale della lapide, ma la mia discrezione e il mio pudore non mi permisero di invadere quella breve vita e quei pochi ricordi portati con sé.
Io sono stato il ragazzo che non ha mai avuto, il padre assente, l’unica persona che si è preso cura di lei. Sono stato quel bambino che, ha esternato l’affetto innocente e pulito che solo i bambini sanno dare. Per trent’anni, ogni volta che sentivo la necessità di vedere mio padre, prendevo due mazzi di fiori: se non lo avessi fatto mi sarei sentito in colpa verso colei che aveva solo me a ricordarla. Un anno fa sono scaduti i termini contrattuali di affitto del loculo di mio padre ed ho rinnovato il contratto per altri trent’ anni. Voi vi chiederete che fine abbia fatto Francesca. In un primo momento avrei voluto rinnovare anche il suo, ma poi le mie considerazioni mi hanno portato a pensare che forse era arrivato il momento di liberarla dalla sua solitudine, e lasciarla unire a tutti coloro che si sono dati appuntamento nel “ giardino dei ricordi” si chiama così l’ossario comunale. Un luogo dove tutti i giorni e tutte le notti non sarà più sola, e dove troverà altri bambini pronti a farla sentire importante, uniti in un unico abbraccio.
Si avvicina la ricorrenza dei Defunti, e come sempre vedrà molti di noi avviarsi in quei luoghi e quelle terre  dove i nostri ricordi trovano la degna compagnia nelle persone che, trasformatesi  in anime o polvere, albergano i nostri pensieri vissuti. Quest’anno acquisterò di nuovo un mazzo di fiori in più, e mi recherò lì, nel giardino dei ricordi. Sono certo che lei, Francesca, non avrà dimenticato chi, per tanti anni, si è preso cura di ricordarla. Chissà se riuscirò, per la prima volta, a parlarle. Certo che dovrà prestare molta attenzione perché adesso sono in tanti e sono certo che lei non si senta più sola, così come sono sicuro che, quando ad aprile del 2012 lei è arrivata, ha ricevuto il giusto applauso che in quel mese di trent’anni fa, le venne negato mentre veniva trasportata al cimitero di Prima Porta a Roma,  e dove il destino ha voluto che incontrasse un bambino di nome Pino.

Scritto da Pino Gogiali