CIAO FRANCESCA
Fu proprio mentre
entravo in quel corridoio silenzioso che mi assalirono i primi dubbi, era
giusto oppure stavo invadendo il suo ricordo, la sua intimità, che se pur
breve….solo 15 anni, era pur sempre una vita fatta di ricordi, di sorrisi, del
calore della sua famiglia……… la famiglia?
In quel’aprile di
tanti anni fa il sole tardava a fare la sua apparizione, lasciando che l’inverno si dilungasse oltre il
dovuto, il terreno bagnato e l’asfalto da poco steso parlavano ai pneumatici della mia macchina,
che, ad andatura lenta, percorreva la strada che immetteva
direttamente agli edifici dove riposavano coloro che non sono più tra noi.
L’odore dei fiori
nell’abitacolo inebriava i miei sensi e mi dava la giusta euforia per combattere la tristezza
che le visite periodiche insinuavano nella mia anima. Con due mazzi di fiori
tra le mani mi avviai verso l’androne a me ormai familiare, e le considerazioni
che feci riguardo alla famiglia di lei scomparvero nello stesso momento in cui
alzando gli occhi verso quest’ultima fila di riquadri, mi resi conto che la
tomba di Francesca era, come sempre, sprovvista di fiori. Ogni scrupolo scomparve e
, ancora prima di prendermi cura della tomba di mio padre, fui preso dal desiderio di abbellire quella
lapide che da poco il Comune di Roma , a proprie spese, aveva allestito.
Finalmente dopo un anno
c’era una immagine che mostrava la ragazza poggiata su di un muretto con
indosso una tenuta da neve, il sorriso tipico di quell’età, occhi scuri, capelli
neri e lunghi, molto probabilmente una delle ultime foto fatte quel’inverno del
1981 ,quando non poteva immaginare che quella sarebbe stata la sua ultima
stagione vissuta.
Sul davanzale di quella lapide si trovavano delle letterine
con su scritto “a Francesca”, dalla
calligrafia infantile, e, a conferma che quei pensieri imbustati erano stati
scritti da bambini, c’erano delle piccole statuine che raffiguravano animaletti
con colori che solo la fantasia infantile è in grado di produrre.
Adesso si poteva leggere la data di nascita e vedere quel
volto sorridente.
Io, salito sulla scala, misi i primi fiori che avevo
appositamente acquistato, tolsi la polvere e le solite ragnatele che si
formavano agli angoli di quei loculi, facendo le stesse cose che ormai da un
anno facevo a mio padre. L’unica
differenza è che con mio padre parlavo, mentre con lei, con Francesca, no. Non
ci riuscivo, forse per timidezza, forse per pudore, o forse perché temevo di
ascoltare la sua tristezza. E ne aveva ben ragione: morire a 15 anni, dopo
chissà quali peripezie e dolori, si ha ben
ragione di urlare il proprio sconforto.
Inutile dire che la
curiosità di conoscere quella storia che aveva fatto nascere in me il desiderio
di sapere il perché una ragazzina di 15 anni prematuramente scomparsa non aveva
avuto i giusti onori che un evento simile scatena, era molto forte. Nessun
familiare, nessun amico o amica, nulla. Il disinteresse verso quella ragazzina
aveva svegliato in me il bambino dormiente che ognuno di noi possiede, e quel bambino
si era avvicinato a lei e, come in una sorta di solidarietà infantile,
manifestava la sua presenza con fiori e, a volte, con brevi pensieri, oltre
alla visita periodica e alla cura per il loculo dove era deposta.
Il destino volle che
da lì a poco tempo le mie domande trovassero alcune risposte. Una mattina mi
avviai per entrare nell’androne dove i loculi di mio padre e di Francesca erano
ubicati e, davanti a loro, erano presenti due donne ben curate, di mezza età, e
tre piccoli bambini che si tenevano per mano. Le donne parlavano cordialmente
tra loro, mentre i bambini, con gli sguardi al cielo e le mani unite,
guardavano Francesca. Mi feci coraggio e chiesi alle due donne se fossero
parenti. Loro, con imbarazzo, risposero :”No, ma è come se lo fossimo” . Di
nuovo chiesi, con un sorriso cordiale :”In che senso?”.
La risposta fu leggermente velata da una smorfia di
inquietudine, che costrinse le due donne a scoprire la loro identità. “Siamo le
responsabili della casa famiglia…” Non chiesi altro, non volevo sapere, né perché né per come e in che modo Francesca
fosse lì. Non chiesi se quei tre bimbi fossero i fratellini o, più
semplicemente, dei bambini con i quali lei aveva diviso la sua sfortunata
storia. Avrei potuto approfondire, sapere di più, avrei persino potuto guardare
dentro le letterine lasciate dai bambini sul davanzale della lapide, ma la mia
discrezione e il mio pudore non mi permisero di invadere quella breve vita e
quei pochi ricordi portati con sé.
Io sono stato il ragazzo che non ha mai avuto, il padre
assente, l’unica persona che si è preso cura di lei. Sono stato quel bambino
che, ha esternato l’affetto innocente e pulito che solo i bambini sanno dare.
Per trent’anni, ogni volta che sentivo la necessità di vedere mio padre,
prendevo due mazzi di fiori: se non lo avessi fatto mi sarei sentito in colpa
verso colei che aveva solo me a ricordarla. Un anno fa sono scaduti i termini
contrattuali di affitto del loculo di mio padre ed ho rinnovato il contratto
per altri trent’ anni. Voi vi chiederete che fine abbia fatto Francesca. In un
primo momento avrei voluto rinnovare anche il suo, ma poi le mie considerazioni
mi hanno portato a pensare che forse era arrivato il momento di liberarla dalla
sua solitudine, e lasciarla unire a tutti coloro che si sono dati appuntamento
nel “ giardino dei ricordi” si chiama così l’ossario comunale. Un luogo dove
tutti i giorni e tutte le notti non sarà più sola, e dove troverà altri bambini
pronti a farla sentire importante, uniti in un unico abbraccio.
Si avvicina la ricorrenza dei Defunti, e come sempre vedrà
molti di noi avviarsi in quei luoghi e quelle terre dove i nostri ricordi trovano la degna
compagnia nelle persone che, trasformatesi
in anime o polvere, albergano i nostri pensieri vissuti. Quest’anno
acquisterò di nuovo un mazzo di fiori in più, e mi recherò lì, nel giardino dei
ricordi. Sono certo che lei, Francesca, non avrà dimenticato chi, per tanti
anni, si è preso cura di ricordarla. Chissà se riuscirò, per la prima volta, a
parlarle. Certo che dovrà prestare molta attenzione perché adesso sono in tanti
e sono certo che lei non si senta più sola, così come sono sicuro che, quando
ad aprile del 2012 lei è arrivata, ha ricevuto il giusto applauso che in quel
mese di trent’anni fa, le venne negato mentre veniva trasportata al cimitero di
Prima Porta a Roma, e dove il destino ha
voluto che incontrasse un bambino di nome Pino.
Scritto da Pino Gogiali